martedì 2 agosto 2022
Torna “Un gatto attraversa la strada”, premio Strega 1955. Un volume di racconti che indaga il versante sensoriale della vita: colori, odori, sapori sono tante “madeleine” proustiane
Giovanni Comisso

Giovanni Comisso - archivio

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«Vedremo adesso cosa succederà ». È la frase, tutto sommato prevedibile, pronunciata dall’amico del protagonista del racconto di Giovanni Comisso intitolato Un gatto attraversa la strada, dopo che un felino «di tutti i colori» è sbucato all’improvviso tagliando il loro percorso in automobile. La linea immaginaria tracciata dal gatto segna la demarcazione tra un 'prima' di serena tranquillità e un 'poi' di ansiosa attesa. Che cosa potrà mai succedere? I due si stanno recando in un’osteria di campagna dove l’amico che guida dovrà suonare in un’orchestrina. La festa è al primo piano dell’edificio e il vecchio pavimento ondeggia pericolosamente sotto i salti delle giovani contadine e dei loro cavalieri, resi più euforici dal vino. Crollerà tutto? La scala è ripida e i gradini consumati. Qualcuno s’ammazzerà scendendo dopo la festa? Lo stesso amico del narratore mentre suonava ha alzato un bel po’ il gomito. Faranno un incidente d’auto sulla via del ritorno? Nulla di tutto ciò. Il peggio che succede è la rottura del vetro del finestrino dell’automobile dopo che l’amico, sollecitato a rinunciare alla guida a causa della sua scarsa sobrietà, ha sbattuto stizzito la portiera. Ma – scrive l’io-narrante – «mi dicevo che che tutto quello che doveva avvenire in conseguenza del gatto che aveva attraversato la strada, non era ancora avvenuto». E in effetti qualcos’altro avverrà, sebbene poi non di così tragico... Un gatto attraversa la strada è il racconto eponimo della raccolta con cui Comisso vinse nel 1955 il premio Strega. Suoi concorrenti erano Dario Cecchi, Giuseppe Dessì, Livia De Stefani e Pier Paolo Pasolini, che arrivò penultimo (dopo Comisso, Cecchi e Dessì) con Ragazzi di vita. Quest’ultima opera, sconfitta dal 'Gatto' di Comisso, è passata alla storia della letteratura, il che non si può francamente dire di quella di Comisso, che però – ora riproposta presso La Nave di Teseo (pagine 256, euro 18) con la prefazione di Paolo Di Paolo e te- sti di Guido Piovene e Nico Naldini (amico di Comisso e cugino di Pasolini) – rappresenta un interessante repêchage. Il volume, originariamente pubblicato da Mondadori nel 1954, raccoglie 31 racconti, composti dagli anni 30 agli anni 50 e caratterizzati dal tono tipico di molta narrativa comissiana, all’incrocio tra una rappresentazione oggettiva di stampo tardo-verista e uno scandaglio, più propriamente novecentesco, nella memoria autobiografica. In molti testi compare un pessimismo di fondo, legato a una meditazione leopardiana sulla morte e sull’eterno nulla a cui le vicende umane appaiono destinate. Così accade, per esempio, nel racconto intitolato 'Al mare', il cui protagonista si concede una breve vacanza, che però non riesce a godersi appieno, dopo la morte della donna amata. Spesso traspare una visione materialistica e meccanicistica del mondo e della natura, in cui assumono importanza concetti come quelli di fato e di destino, con le forze magiche e occulte che li circondano, secondo la concezione di una certa psicologia del primitivo. Ciò accade per esempio nel racconto dal titolo 'La bella siciliana', in cui si parla di «uno scatenamento di forze occulte invero impressionanti» Per reagire all’angoscia derivante da questo svolgimento deterministico dei fatti, a volte il protagonista trova come soluzione quella di sdoppiare se stesso in personaggio e spettatore. Quest’ultimo assiste allo svolgersi dei casi che riguardano l’io-narrante come se questi fosse un’altra persona. Così nel racconto che dà il titolo al volume: «Cominciavo ad assistere allo spettacolo di me stesso, venivo a essere dominato da avvenimenti preordinati secondo uno schema e senza disperarmi per il danno subito, ero curioso di sapere cosa da questo inizio disastroso ne sarebbe successo». Se alcuni racconti – come e 'Il sospetto', 'La nuova padrona', 'I fratelli Amadio' – indugiano nella descrizione della semplice vita campagnola, altri – tra cui 'Due soldati di regioni lontane' e 'L’alpino solitario' – rimandano all’esperienza della guerra. Ricordiamo che Comisso, che era nato nel 1895 a Treviso (dove sarebbe morto nel 1969, dopo essere stato per molti anni a Milano e a Parigi), in gioventù aveva partecipato come volontario alla Grande Guerra, sulla quale aveva scritto il diario intitolato Giorni di guerra (che ne è una delle testimonianze letterarie più ricche), e poi all’impresa fiumana. Colpisce e si apprezza nella scrittura di Comisso, come cifra narrativa peculiare, l’attenzione al versante sensoriale dell’esperienza, valorizzato in termini conoscitivi: colori, odori, sapori sono tante 'madeleine' proustiane utili a reimmergersi nel passato, anche se quest’ultimo non può mai essere completamente recuperato. Forse è tale elemento psicologico - che si coglie particolarmente in alcuni testi come 'Un ingrato destino' e 'L’ozio di Marco' - a rendere il libro interessante e a convincerci che il suo autore debba essere considerato uno scrittore moderno a tutti gli effetti. Di una modernità, però, dotata di radici. E per questo capace di affascinare.

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