La formazione del Real ZiganIn piedida sinistra: l’allenatore Enrico Zanchini eil presidente Gipi - .
Nella capitale, sul fronte calcistico le parole e i gesti dell’odio rimbalzano come un pallone. Dalla sponda laziale, dopo la figurina di Anna Frank con la maglia giallorossa della Roma, adesso si fischia oltraggiosamente al minuto di silenzio nel Giorno della Memoria: è accaduto domenica scorsa, prima del fischio d’inizio di Lazio-Napoli. Su sponda romanista invece, un anno fa urlavano in coro «sei uno zingaro» all’indirizzo dell’ex laziale Dejan Stankovic, allora allenatore della Samp, durante un match contro la Roma di Mourinho, e il tecnico portoghese lo difese platealmente dagli insulti razzisti. «Io sono fiero di essere zingaro!» disse Stankoivc al termine della partita. Ed è la stessa fierezza che provano i ragazzi del Real Zigan, squadra nata un anno fa per volontà di un triumvirato speciale composto dal fumettista e regista Gianni Pacinotti in arte Gipi, l’attore e regista Valerio Mastandrea e l’allenatore Enrico Zanchini.
Il Real Zigan è composta da giovani calciatori che provengono dal campo rom di Castel Romano, un tempo popolato da più di un migliaio di zingari e oggi, dopo il sequestro dell’area, da qualche centinaia di nomadi. I loro figli, hanno scelto il calcio come fascia diretta per l’inclusione e hanno risposto con entusiasmo alla convocazione del più solidale degli allenatori in circolazione: mister Zanchini, che è anche il ct della Nazionale Crazy For Football. «Quando Valerio (Mastandrea) mi ha chiamato dicendomi che cercava un campo e un allenatore per “una squadra di zingari”, gli ho risposto che ero già pieno di impegni e che avrei cercato un tecnico adatto al progetto. Ma non ho trovato nessuno e alla fine eccomi qua». Qua, è il campo della Romulea dove il mister è stato ingaggiato come responsabile della scuola calcio della storica società romana, dopo aver subito lo sfratto traumatico di quella che per diciotto anni è stata la sua seconda casa, il circolo sportivo Il Faro. «L’avventura con il Real Zigan era cominciata lì al Portuense nei due campi e il parco del Faro dove avevamo messo in piedi un autentico avamposto sociosportivo che contava 15 squadre e oltre 250 giovani tesserati della Cccp 1987». Del Faro e di quel sogno condiviso dai tanti nati ai bordi di periferia resta solo la prima squadra dei Cccp 1987 che ora si allena da itinerante alla Magliana e disputa le gare del campionato di C1 di calcio a 5 al Palatorrino. «Molti di quei bambini e ragazzi, con la cessazione forzata dell’attività hanno appeso gli scarpini al chiodo. E ogni tanto c’è qualche genitore disperato che mi telefona per dirmi, “mio figlio non fa più niente e vorrebbe tanto trovare una squadra come i Cccp 1987 per ricominciare».
Questa vicenda dello sfratto (richiesto dalla Croce Rossa proprietaria del terreno) è uno dei tanti scandali dell’impiantistica sportiva a Roma. «I politici si riempiono la bocca con il diritto per tutti a fare sport, con l’inclusione sociale e l’emergenza dei giovani sballati e senza valori, ma poi giri per la città e vedi impianti costretti a chiudere e campi abbandonati, anche i più belli e storici come il Campo di Testaccio o il Flaminio. Noi al Faro avevamo l’appoggio dell’amministrazione municipale eppure ci hanno fatto chiudere», denuncia e spuma rabbia mista a comprensibile amarezza mister Zanchini, che però non si arrende mai. Prosegue il suo lavoro, che agli occhi della pubblica ottusità appare spesso come una missione impossibile. «Ho allenato squadre di tossici, di persone con problemi di salute mentale, mi mancavano solo gli zingari, ed eccomi qua sulla panchina della Real Zigan». Un gruppo colorato, come le maglie blu dove al petto si legge “Cmon games”, lo sponsor Davide Preti che è il patrono della squadra che gioca sotto l’egida della bandiera Rom con al centro la ruota rossa del carro che rimanda al tricolore. Le divise, sotto la supervisione artistica del presidente Gipi, l’hanno disegnate Toni e Alpacino per tutti “Alpa”. Due dei nove piccoli eroi, diventati esemplari, agli ordini di Zanchini. «Appartengono quasi tutti alla famiglia Hamidovic, a partire da Ricky, il portierone barbuto.
Poi c’è Zinad detto “Zizou” come Zidane, Richard detto Cipolletta per via del codino raccolto a cipolla. Danilo alias Neymar, ma più per il capello improbabile e la maglietta dell’ex asso del Barcellona», sorride Zanchini snocciolando la formazione che si avvale anche della grinta e la passione di Mustafà Cizmic, di Islam di Tony e il talentuoso Christian, il più piccolo del gruppo, classe 2008. «Quando hanno iniziato molti di loro erano disoccupati e soprattutto venivano da studi interrotti. Ora grazie all’impegno costante di Gipi e di sua moglie Chiara, alcuni di loro hanno trovato un posto di lavoro e una scuola da frequentare. Sono tutti incensurati e anzi a volte durante gli allenamenti li prendo in giro dicendogli: mi raccomando, chiudete bene lo spogliatoio che qui rubano». Il Real Zigan nasce anche per sconfiggere tutti gli affollatissimi luoghi comuni e i pregiudizi che quasi sempre mettono gli zingari alla sbarra come ladri relegandoli al margine della società. «Questi ragazzi hanno una gran voglia di giocare e la prima regola che gli stiamo insegnando è il senso di responsabilità che per loro era sconosciuto. Perché, diciamoci la verità, nessuno gli garantisce mai un percorso da seguire, semmai fanno in modo di metterli in fuori gioco. Il nostro con loro, è un patto rinnovato fatto di impegno e sacrificio che comincia su un campo di calcio ma che poi si deve concretizzare con una realizzazione nel mondo dove vogliono sentirsi accettati e pienamente inclusi Del resto sono tutti ragazzi nati qui in Italia e si sentono sì zingari, ma prima di tutto italiani». Uniti dallo stesso duplice spirito di appartenenza e dalla voglia di divertirsi e divertire. «Io mi sganascio ad ogni allenamento - continua il mister -È un gruppo davvero divertente che fatica ancora a rispettare le regole, a cominciare da quella che in campo non devono parlare la loro lingua, perché dobbiamo capirci».
Dopo i vari tornei, a cominciare da quello di Villa Maraini, i ragazzi del Real Zigan cominciano a masticare la lingua di quel “bel calcio” che dovrebbe essere insegnato nelle Scuole. «La parola “Scuola” davanti a calcio viene ignorata. La mia lunga esperienza di tecnico di settore giovanile mi fa dire che noi come dirigenti, allenatori e soprattutto come genitori abbiamo fallito clamorosamente. Abbiamo svuotato il senso ludico e educativo di uno sport come il calcio piegandolo al bieco tornaconto che è legato all’esasperazione per il risultato della partita, e in primis al risultato economico. Oggi si fa scouting già sui 2015-2016 e se hanno la fortuna di venire selezionati, a 12 anni già si ritrovano con il procuratore dentro casa per la gioia di papà e mamma, che poi però quando il loro pupillo ne ha 18 piangono miseria, perché il più delle volte il figlio è stato scartato e non ce l’ha fatta a coronare il sogno di tutta la famiglia: diventare un professionista … Io dico da sempre ai miei piccoli calciatori che De Coubertin forse non ha mai pronunciato la celebre massima “l’importante non è vincere ma partecipare”. Però da sempre sono convinto che se ai bambini gli insegni a vincere non è detto che imparino a giocare, mentre se gli insegni a giocare, allora un giorno magari saranno anche capaci di vincere». Filosofia che mister Zanchini è riuscito ad inculcare anche a quelle che erano considerate delle “menti perdute”, come i ragazzi di Crazy For Football, vincitori nel 2018 dell’ultimo Mondiale per nazionali composte da pazienti psichiatrici.
La squadra di “Matti per il calcio” fondata nel 2016 da un’idea del neuropsichiatra Santo Rullo è un’esperienza di calcio inclusivo incredibilmente riuscita ed è diventata un documentario e poi anche un film diretto da Volfango De Biasi. Il film, Crazy for Football - Matti per il calcio vede Sergio Castellitto nei panni del dottor Rullo e Max Tortora che impersona il ct Zanchini. «Quando abbiamo cominciato con Crazy for Football dicevano che i matti eravamo noi, il dott. Rullo e il sottoscritto. Ora pensano lo stesso del Real Zigan. Del resto se sei un rom la strada non è in salita, di più. Ma noi siamo convinti che anche con il calcio quel destino che per loro sembra già scritto possiamo cambiarlo insieme. Il razzismo? Se lo portano dietro da quando sono venuti al mondo. Per il Giorno della Memoria lo scorso anno sulla nostra chat ho postato un articolo sulle persecuzioni subite dal popolo rom sotto il nazifascismo. Qualcuno non sapeva neanche cosa fosse Auschwitz, altri sanno eccome, e resta un dolore segreto da non dimenticare». «I segreti che fanno paura / Finché un uomo ti incontra e non si riconosce / E ogni terra si accende e si arrende la pace», canta Fabrizio De Andrè, in Khorakhané (A forza di essere vento). E se “Faber” fosse ancora qui, oltre alla sua squadra del cuore, il Genoa, tiferebbe anche per il Real Zigan.