All’inizio quei ragazzini allevati in un prestigioso e idilliaco college inglese, costretti a una strana, misteriosa sottomissione, costantemente sotto controllo medico, sembrano solo gli studenti decisamente speciali di una scuola destinata a rampolli di famiglie ricche, nobili e particolarmente esigenti in fatto di educazione. Solo che loro genitori non ne hanno. E neppure un cognome. Rinchiusi tra quelle mura, oltre le quali ci sarebbe morte sicura (questa è la voce che circola tra loro), Tommy (Andrew Garfield), Ruth (Keira Knightley) e Kathy (Carey Mulligan) imparano insieme a tutti gli altri le regole del mondo senza mai abbandonare il loro recinto di protezione.Un giorno però entra in classe Miss Lucy e tutto cambia. Quei bambini che cominciano a scoprire i primi palpiti del cuore e a sognare le dolcezze della vita futura scoprono in cosa consiste il loro essere "speciali". Non diventeranno mai vecchi e probabilmente non raggiungeranno neppure la mezza età. Clonati da altri esseri umani, sono destinati ad essere preziose banche di organi vitali per coloro che, desiderosi di vivere a lungo e senza malattie, si sottopongono a operazioni di trapianto. I più fortunati raggiungeranno la quarta donazione prima di «completare il ciclo», ma altri potrebbero morire dopo la prima.Questo agghiacciante scenario è al centro del film di Mark Romanek,
Non lasciarmi, tratto dall’omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro (l’autore di
Quel che resta del giorno) e ambientato tra gli anni Settanta e Novanta, in un «passato fantascientifico» dove l’aspettativa di vita è salita a 100 anni grazie ai progressi della medicina e della bioingegneria. Ma la nuova «conquista» del genere umano ha dei costi altissimi. Fedele al romanzo, asciugato tuttavia di molte conversazioni e divagazioni, il film restituisce l’inquietante fascino di un ambiente rarefatto intriso di inquietanti misteri. Ma, soprattutto, domina il dolore straziante delle giovani vittime sacrificali che, una volta scoperta la verità, sono combattute tra la rassegnata accettazione del proprio triste destino e il desiderio di sottrarsi, in nome dell’amore che comincia a sbocciare tra loro, a quella spaventosa vivisezione. Pare infatti che agli innamorati siano concessi tre-quattro anni di proroga prima dell’espianto di esordio, ma non è così, nonostante la galleria d’arte che raccoglie i loro lavori sia tesa a dimostrare che anche quelle repliche hanno un’anima.Insieme ai protagonisti, il pubblico, investito da una malinconia crescente, scopre a poco a poco l’inferno nel quale piomberanno quei ragazzi, seguendoli persino nei corridoi degli ospedali dove si trascinano pallidi e doloranti, con le prime cicatrici a segnare i loro corpi da macello. Glaciale nel tracciare il ritratto dei giovani cloni, il regista firma un melodramma anomalo e asciutto, lasciando allo spettatore tutto il tempo per immergersi con commozione nell’orrore di un mondo che appare meno lontano di quello che sembra. E nel finale la riflessione filosofica (mai spirituale però) sul destino dell’uomo e il senso della vita si estende a una dimensione più ampia e universale: di fronte alla certezza della morte non sono forse uguali tutti gli esseri umani che, giunti alla fine del proprio percorso terreno, sono assaliti dall’angoscia di non aver avuto abbastanza tempo?