Il calcio sarà anche una fede, ma la fede aiuta a vivere meglio chi ce l’ha, specie in questo universo pallonaro che è sempre più showbusiness, e sempre meno sport. Perciò, dopo l’intervista rilasciata ad Avvenire da Alfredo Trentalange, presidente dell’Aia ( Titolo: “L’arbitro è una missione educativa”: «Fra Pierluigi Marchesi la mia guida, San Giovanni Bosco il mio fuoriclasse, nella “politica” anche arbitrale, mi ispiro a don Lorenzo Milani»), scalda un po’ l’anima leggere la testimonianza, di fede di Cristian Ansaldi, che si è letteralmente confessato con Guglielmo Buccheri su La Stampa. «Più che di senso religioso, parlerei di profonda relazione con il Signore... Trovo Dio in ogni manifestazione della quotidianità», ha detto il 34enne difensore argentino (è nato a Rosario, la città della “trinità laica”: Messi, Bielsa e Che Guevara), cuore Toro: in maglia granata dal 2017 dopo essere passato da San Pietroburgo, Kazan, Madrid (sponda Atletico), Genoa e Inter. Siamo di fronte a una mosca bianca? No, perché Ansaldi nello spogliatoio del Torino di «certi valori» spirituali spesso si ferma a parlarne con i compagni: Bremer, Rincon, Lyanco, Lukic e Sanabria. Mentre patron Cairo parla di plusvalenze, questi ragazzi vanno ben oltre la classica vita del calciatore milionario, tutta playstation, donne, bolidi e champagne, parlano di fede in Dio. La cosa può stupire molti, ma non certo don Marco D’Agostino che, nel titolo del suo libro (ne abbiamo scritto ma giova consigliarne ancora la lettura) Se avete fede come un calciatore (San Paolo Edizioni), dice tutto. A ispirare don Marco infatti è stato il difensore dell’Inter e della Nazionale Alessandro Bastoni. Un suo ex allievo al Liceo Vida di Cremona, al quale in una videochat, sotto lockdown, chiese: «Cosa si prova a dover affrontare Cristiano Ronaldo?», e Bastoni rispose: «Don, dalla difesa non passa nessuno». A quella risposta don D’Agostino pensò: «Se avessi la stessa fede di Bastoni quando scende in campo, probabilmente la mia vita sarebbe molto diversa». Bastoni come l’altro azzurro Alessandro Florenzi. Uno dei tre italiani, gli altri sono Verratti e Kean, ancora in corsa per la Champions, tutti con il Paris Saint Germain. Dopo Totti e De Rossi, era lui il “capitan futuro” della Roma, ma i proprietari americani c’hanno il dollaro al posto del “core” e difficilmente sanno distinguere una lattina di Coca-Cola da una bandiera. Così Florenzi, alias “Bello de nonna” – memorabile il gol al Cagliari e corsa in tribuna Monte Mario per andare ad abbracciare nonna Aurora – , pur avendo giurato amore eterno alla Curva Sud gli è toccato un triste arrivederci Roma: esilio, in forma di prestito, prima a Valencia e ora, forse, ultimo tango a Parigi. Lo vuole Antonio Conte all’Inter e uno come Florenzi in Italia ci sta bene per tanti motivi, non ultima la sua fede incrollabile e la devozione, mai sbandierata, per Santa Rita. Se andate a Cascia, nella teca degli ex voto vedrete due maglie della Roma firmate da Florenzi che ringraziava la “Santa dell’impossibile” per la guarigione dopo gli infortuni. Piccole cose, direte, ma che fanno tanto bene al calcio. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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