Il grande scrittore Umberto Eco nella sua biblioteca
Un lungo corridoio tappezzato di libri e un collezionista e lettore che si aggira fra di essi con passo spedito: è Umberto Eco l’uomo che seguiamo affascinati in una lunga camminata attraverso la sua biblioteca personale, 30mila volumi moderni più 1200 antichi e rari. Un percorso che spiega molto della formazione e della creatività del grande scrittore che considera la biblioteca «la memoria del mondo». Proprio quella camminata venne immortalata nella grande casa del centro di Milano dal regista Davide Ferrario che ora ne fa l’apertura del suo bellissimo documentario Umberto Eco – La biblioteca del mondo, una produzione Rossofuoco in collaborazione con Rai Cinema, in uscita nei cinema il 2 marzo. Un lavoro snello e per nulla accademico che è capace di ravvivare nello spettatore l’amore per la lettura, guidato dalla voce dello stesso scrittore e dalle testimonianze dei suoi familiari, oltre che da alcuni brani dei suoi discorsi recitati da attori come Giuseppe Cederna, Niccolò Ferrero, Paolo Giangrasso, Walter Leonardi, Zoe Tavarelli, Mariella Valentini.
«Ho avuto la fortuna di conoscere Umberto Eco quando realizzai nel 2015 una videoinstallazione per la Biennale d’Arte di Venezia con lui protagonista – spiega il regista Davide Ferrario -. Fu allora che vidi per la prima volta la sua biblioteca e gli chiesi subito di fare una ripresa di lui che camminava in mezzo ai libri, la stessa che apre adesso il film. Furono anche le immagini utilizzate dalle tv di tutto il mondo quando, purtroppo, Eco morì un anno dopo. In qualche modo, coglievano il senso di una vita. Da quelle nasce questo film, costruito giorno per giorno insieme alla famiglia. Se, per Eco, la biblioteca era una metafora del mondo, la sua personale non era una semplice collezione di libri, ma la chiave per capire le sue idee e la sua ispirazione».
Quella di Ferrario è anche una testimonianza storica poiché i libri di Eco sono stati donati dalla famiglia, per preservarne l’utilizzo e la memoria, allo Stato: quelli antichi alla Biblioteca Braidense di Milano e quelli moderni all’Università di Bologna. La cosa più tenera sono i racconti inediti dei familiari che ricordano lo scrittore mentre sfogliano i suoi libri più amati, come la moglie Renate e i figli Carlotta e Stefano che spiegano la disposizione della biblioteca secondo criteri noti solo allo scrittore. Intanto fra quei corridoi vediamo pattinare la nipotina, mentre il nipote ventenne rivela, chiedendo scusa alla sua professoressa, che «il nonno mi aiutò a fare alcune verifiche scolastiche. In pratica le scrisse tutte lui, tranne una: le sue ebbero il massimo dei voti, la mia l’insufficienza».
L’idea di partecipare al film-documentario di Davide Ferrario nasce dal desiderio di lasciare una testimonianza della casa-biblioteca-studio che Umberto e Renate Eco hanno nel tempo creato e nella quale la famiglia ha vissuto per oltre trent’anni – spiega la famiglia dello scrittore -. Saper raccontare la sua biblioteca significa descrivere le sue passioni, lo spazio della sua memoria, la sua curiosità infinita, il suo senso dello spirito e dell’ironia, il concetto di enciclopedia come formazione intellettuale a tutto tondo; insomma, la sua passione per una conoscenza aperta» spiegano i familiari. Insomma, quella di Eco non è un archivio o un deposito, ma una biblioteca viva, ricca oltretutto di libri “eccentrici”. Molti i materiali d’archivio in cui lo scrittore parla essenzialmente di libri, accompagnati dalle affascinanti immagini delle biblioteche più belle del mondo dalla Braidense di Milano a quelle dell’Università di Torino e quella dell’Accademia Albertina, fino a quelle di Stoccarda, San Gallo e Tianin in Cina. Eco rivendica, preveggente, «l’insostituibilità sentimentale del libro» nell’epoca di internet «che offre potenzialmente tutto, ma non gli strumenti per filtrare. Un tempo la biblioteca era il punto di riferimento, ora la sfida è sbarazzarsi di quante più enciclopedie possibili. Siamo sei miliardi di persone e finirà che avremo sei miliardi di enciclopedie diverse: sarebbe l’assoluta incomunicabilità ». Per il regista il documentario è «una riflessione sull’idea stessa di biblioteca come memoria del mondo, secondo una formula cara a Eco. Ecco perché il film si espande anche in incursioni in alcune biblioteche sparse per i continenti, antiche e moderne, che sono dei luoghi magici e affascinanti. Non solo: usando i libri della biblioteca privata di Eco come una sorta di filo rosso, il film è anche un omaggio a lui come intellettuale e scrittore. In realtà, non si può pensare a Eco senza la sua biblioteca. Quello era il mondo dentro il quale si formavano le idee, le tesi e le storie che poi prendevano forma nei suoi libri».
Eco appare anche nella sua veste di grande affabulatore «capace di tenere il palcoscenico e quindi ho cercato di sfruttare questa sua capacità “attoriale” » aggiunge Ferrario che ha aggiunto estratti da conferenze e interviste rendendo vivo e vicino lo scrittore e il suo insegnamento comprensibile a tutti. Toccanti le parole con la voce stessa di Umberto Eco che chiudono il documentario dove cita il Primo libro dei Re, quando Elia nella caverna del monte Oreb viene circondato da un vento impetuoso e fragoroso: «Non si può trovare Dio nel rumore, Dio si palesa solo nel silenzio. Dio non è mai nei mass media, sulle prime pagine dei giornali, Dio non è mai in tv, Dio è dove non c’è agitazione. E questa massima vale anche per chi non crede in Dio, ma pensa che da qualche parte esista una verità da scoprire o un valore da creare. Non si possono trovare verità e creatività in un terremoto, ma solo in una ricerca silenziosa».