L’11 marzo 2011, alle ore 14:46, nel Giappone orientale si verificò un grave terremoto. Dopo circa 30 minuti il gigantesco tsunami, con onde alte in certi punti fino a 20 metri, raggiunse le coste orientali della regione di Tohoku. Questa regione, nel cui fondo marino orientale corre il confine tra le placche, aveva sperimentato più volte degli tsunami nella sua storia e assunto molte contromisure, per esempio argini e boschi di protezione, sistemi di allarme ed esercitazioni di fuga. Era la regione meglio protetta contro lo tsunami, in Giappone e probabilmente in tutto il mondo. Lo tsunami però scavalcò i piani di protezione predisposti dalle autorità locali; inoltre, il primo allarme sottovalutò l’altezza delle onde. Ne conseguì un gran numero di morti e dispersi, complessivamente circa 19.300. Abbiamo imparato di nuovo che gli esseri umani, nonostante tutta la loro tecnologia, sono creature terrene che vengono sopraffatte dall’acqua. Per me, cristiana cattolica e biblista, queste esperienze si uniscono anche a nuovi interrogativi rivolti alla Bibbia e alla teologia cristiana. Il racconto biblico della creazione pone gli uomini tra gli esseri viventi creati al sesto giorno, chiamati ad abitare la Terra (Gen 1,24-28). Gli/le oranti dell’antico Israele, familiarizzati/e con questa antropologia, così descrivono come hanno sperimentato il pericolo per la loro vita in situazioni di emergenza a causa dell’acqua: «Salvami, o Dio: l’acqua mi giunge alla gola. Affondo in un abisso di fango, non ho alcun sostegno; sono caduto in acque profonde e la corrente mi travolge. Sono sfinito dal gridare, la mia gola è riarsa; i miei occhi si consumano nell’attesa del mio Dio» (Sal 69,2-4). In questo salmo sento riecheggiare le grida delle vittime dello tsunami.
Per la fede biblica nella creazione era fondamentale che Dio ponesse e conservasse il confine tra acqua e terra (cf. Gen 1,9s.). Questa idea deriva dalla concezione «idro-cosmologica» della creazione, idea diffusa nell’antica Asia occidentale e secondo la quale «la creazione sarebbe scaturita dalla lotta di una Potenza divina e la sua conservazione sarebbe questione di arginare masse d’acqua che minacciano la vita». Nel libro della Genesi il motivo della lotta passa comunque in secondo piano per lasciare emergere l’onnipotenza di Dio. L’opera del Creatore viene esaltata dal salmista in questi termini: «Hai fondato la terra sulle sue basi: non potrà mai vacillare. Tu l’hai coperta con l’oceano come una veste; al di sopra dei monti stavano le acque. Al tuo rimprovero esse fuggirono, al fragore del tuo tuono si ritrassero atterrite. Salirono i monti, discesero nelle valli, verso il luogo che avevi loro assegnato; hai fissato loro un confine da non oltrepassare, perché non tornino a coprire la terra» (Sal 104,5-9). Lo tsunami infranse quel confine, sebbene solo temporaneamente. Bambini, malati e anziani morirono annegati. Molti che continuavano a dedicarsi alle loro attività professionali persero la vita trascinati in acqua. A ciò si aggiunse una nevicata nella stessa regione distrutta dal terremoto e dallo tsunami: non pochi fra coloro che si erano salvati dall’acqua, per lo più anziani, una volta rimasti senza corrente elettrica e gas morirono per il freddo in alloggi di emergenza. Come cristiani ci si potrebbe chiedere: il Creatore trascura forse gli animali della Terra, tra cui gli uomini? Può essere stata una punizione, come il diluvio nella storia delle origini (Gen 6-9)? Accadde proprio nel tempo di Quaresima. Di fronte alla catastrofe che uccideva tanti innocenti, i cristiani nelle chiese gridarono a Dio e fecero lamenti, proprio come Giobbe e insieme a Giobbe. In aprile l’aria si fece più calda e dai rami di alcuni degli alberi risparmiati dalle nere masse d’acqua spuntarono tenere foglioline. Il verde sparso tra le macerie limacciose ricordava il fresco ramo d’ulivo che la colomba riportò a Noè nell’arca. Del resto, Dio fa memoria: «Dio si ricordò di Noè, di tutte le fiere e di tutti gli animali domestici che erano con lui nell’arca. Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si abbassarono. (…) e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco una tenera foglia d’ulivo» (Gen 8,1.11). Finché «freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte» non cesseranno (Gen 8,22) la speranza rimane, anche se si continuerà ancora a lungo a rimuovere detriti, a rifare nuovi piani e a ricostruire paesi e città. Così avremmo potuto dire, senza esitazione, se a Fukushima non fosse accaduta la catastrofe atomica. Che cambiò radicalmente la nostra situazione. Dall’11 al 12 marzo 2011, mentre le squadre di salvataggio continuavano a cercare i dispersi e tentavano di distribuire acqua potabile e generi di prima necessità in oltre mille alloggi di emergenza, la centrale atomica di Fukushima I, già colpita dal terremoto e dallo tsunami, perse tutti i sistemi di raffreddamento e finì fuori controllo. In tre reattori si arrivò alla fusione del nucleo – cosa che a noi, all’inizio, fu comunicata soltanto come una possibilità.
Il governo ordinò l’evacuazione di circa 85.000 abitanti nel raggio di 20 km attorno alla centrale nucleare. La maggior parte abbandonarono le case senza portare con sé dei bagagli, poiché pensavano che si trattasse di una semplice misura precauzionale di breve durata. In quell’area venne sospesa la ricerca delle vittime dello tsunami. Non pochi anziani evacuati dagli ospedali e dalle case di riposo morirono durante il trasporto male organizzato o subito dopo. Una grande quantità di bestiame, per esempio bovini, mucche, maiali e polli, che si trovava nell’area contaminata, morì di sete e di fame dopo l’evacuazione. Soltanto una parte del bestiame, per esempio i bovini e le mucche che i proprietari avevano lasciato liberi, vivono alla macchia nella zona proibita. Queste aree e quelle che si aggiunsero in seguito rimangono fino ad oggi interdette, perché lì la radiazione supera i valori limite di riferimento raccomandati dalla Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni (Icrp), ossia di 20 millisievert all’anno. Nella zona interdetta sono situazioni da incubo. Anche al di fuori di quella zona, però, gli abitanti soffrono. Una superficie grande quasi quanto la metà della prefettura di Fukushima risulta contaminata: se lì in effetti la radiazione non supera i valori della zona interdetta, resta comunque molto più alta del normale. I residenti, soprattutto quelli con bambini piccoli, si trovano davanti a un tragico dilemma: abbandonare le loro case, con tutto ciò che forma la base della loro vita, oppure restare. Le sostanze radioattive liberate dalla centrale atomica hanno inquinato i boschi, i fiumi, i laghi e il mare, avvelenando così il ciclo delle acque del globo nel suo complesso. L’inno alla creazione sopra citato canta il ciclo dell’acqua mantenuto in essere dal Creatore, che dona vita ad animali e a uomini: «Tu mandi nelle valli acque sorgive perché scorrano tra i monti, dissetino tutte le bestie dei campi e gli asini selvatici estinguano la loro sete. In alto abitano gli uccelli del cielo e cantano tra le fronde. Dalle tue dimore tu irrighi i monti, e con il frutto delle tue opere si sazia la terra. Tu fai crescere l’erba per il bestiame e le piante che l’uomo coltiva per trarre cibo dalla terra» (Sal 104,10-14). La prefettura di Fukushima, il cui nome giapponese significa «terra felice», aveva un paesaggio del genere, proprio come quello cantato nell’inno. Chi è responsabile per la distruzione del Paese e la contaminazione del ciclo idrico globale? Certamente, non sto pensando a una colpa collettiva della popolazione giapponese, ma non siamo neppure più nella condizione di Giobbe davanti al Creatore, ossia non siamo in condizione di fornire assicurazioni di innocenza (cf. Gb 31). L’energia nucleare è una tecnologia strettamente connessa alle armi atomiche.
Lo Stato giapponese, che non possiede armi atomiche né può possederle, dal 1954 ha messo a disposizione un grande stanziamento di fondi e promuove un progetto nazionale per la ricerca e lo sfruttamento dell’energia nucleare. I politici che si impegnavano per questo progetto avevano e hanno l’ambizione di procurare in tal modo allo stato la potenzialità scientifica e tecnica per la costruzione di armi atomiche. Questa politica atomica, che non trovava consenso alcuno nel popolo giapponese, venne mascherata dietro il motto atoms for peace. Con il sostegno del mondo politico, si provvide a costituire un sistema rigidamente chiuso – fatto di istituti statali di ricerca, industria atomica privata e tecnologi dell’atomo – tra i cui membri nessuno prende sul serio i rischi di incidenti e i problemi delle scorie nucleari e nessuno si sente responsabile per eventuali incidenti, pena il venire immediatamente esclusi dal sistema. Malgrado tutti gli incidenti, all’estero e all’interno del Paese, questo sistema ha continuamente imposto che fossero costruite nuove centrali atomiche in un territorio soggetto con frequenza ai terremoti. La Bibbia ebraica racconta la storia di una città-Stato, Babele, la quale conosceva una sola lingua e sviluppò tecnologia e armamenti di grande livello: «Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole» (Gen 11,1). Regnava presso di loro una sola voce, contro la quale nessuno si pronunciava. Quella voce diceva: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra» (Gen 11,4). In epoca biblica la città murata è la quintessenza dell’armamento. Il Creatore impedì il progetto di Babele, non ricorrendo alla violenza, ma moltiplicando la loro lingua. Sono convinta che anche noi in Giappone abbiamo bisogno di una moltiplicazione della lingua: molte voci che si levino contro l’unica voce del sistema. In Giappone la catastrofe atomica deve infrangere il sistema, altrimenti diventeremo un esempio anche peggiore di Babele. Le esperienze della doppia catastrofe, dello tsunami e atomica, si possono collegare da molti punti di vista con la Bibbia ebraica: anche gli israeliti, vivendo ai margini delle antiche grandi civiltà, hanno sperimentato disastrose catastrofi belliche e naturali, hanno riflettuto su di esse e tramandato le loro esperienze. «Ricordare» è stato il loro dovere. Ricordate Hiroshima, Nagasaki, Fukushima, ma ricordate anche Three Mile Island, Cernobyl’, Fukushima. Se ci ricorderemo dei nomi e degli eventi a cui quei nomi rimandano, forse il Creatore si ricorderà di noi (cf. Am 5,15).