"Penso che Papa Francesco sia una persona unica e irripetibile". Lo ha detto l’artista cinese Ai Weiwei, in un’intervista a “Effetto Notte”, il rotocalco di informazione cinematografica di Tv2000, in occasione della presentazione del documentario "Human Flow" sul dramma dei profughi, in concorso alla 74/a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, nelle sale il 2 ottobre, giornata dedicata ai migranti.
Due ore filate toccanti, con l’obiettivo puntato sui profughi, per tentare di capire attraverso i loro occhi (soprattutto quelli dei bambini), i loro ricordi e grazie a immagini di raro splendore, come vivono i 65 milioni di rifugiati che fuggono da guerre e povertà nel mondo. In questo l’artista cinese, che ha vissuto sulla propria pelle, come pure il padre, persecuzioni politiche ed esili in quanto dissidente, ammira profondamente Francesco.
"La sua visione e tutto ciò che sta facendo ha un significato non solo religioso ma per tutti gli esseri umani. Riesce infatti a comprendere profondamente il cuore dell’ uomo. Siamo davvero fortunati ad avere una personalità come la sua. Quando l’ho visto lavare i piedi dei rifugiati sono scoppiato a piangere. Un gesto che dice tutto sulla sua sensibilità rispetto a ciò che sta accadendo nel pianeta”.
"E’ una cosa che tocca me - ha concluso Ai Weiwei - ma tocca tutti, credenti e non credenti. E’ l’ espressione del rapporto profondo che c’è tra essere umano e i valori più profondi dell’anima”. E di anima e anime è denso questo documentario che nel corso di un anno ha seguito migliaia di storie disperate dall’ Afghanistan a Bangladesh, Francia, Grecia, Germania, Iraq, Israele, Italia, Kenya, Messico e Turchia. "Human Flow" documenta una disperata ricerca di salvezza, rifugio e giustizia: dai campi sovraffollati di rifugiati alle pericolose traversate dei mari e ai confini segnati dal filo spinato.
Critico verso l’Europa e l’Occidente Weiwei, “vorrei che questo documentario lo vedessero Trump, la merkel ma anche in Cina” aggiunge, salvando però l’Italia: “Il vostro Paese ha conservato la sua cultura di compressione, sviluppata nella sua lunga storia di emigrazione e di immigrazione – aggiunge -. Ma il fenomeno non può gestirlo da sola, perché richiede una soluzione globale”.