«Ho cercato disperatamente di intervistare papa Francesco per questo film, è una persona straordinaria, che si impegna per l’ecologia, contro la povertà, per ridare dignità all’essere umano. Tutti i temi al centro di
Human. Spero davvero tanto che lo veda». È entusiasta Yann Arthus-Bertrand, il più grande fotografo aereo mondiale e regista (
Home, 2009), che racconta ad “Avvenire” come la sua vita sia stata rivoluzionata negli ultimi due anni dal progetto
Human. (
clicca qui per il sito ufficiale del film). Un docufilm che lo ha portato a intervistare con la sua équipe 2020 persone in 60 Paesi del mondo in 63 lingue diverse. Qualunque fosse il Paese, la cultura, l’età, la religione, l’età, i giornalisti ponevano le stesse domande sulla condizione umana: cos’è l’amore? qual è il significato della vita? qual è stata la prova più difficile che ha dovuto affrontare? Il film si apre con un primo piano fortissimo di un afroamericano in carcere a vita per omicidio, che racconta di avere scoperto il vero amore nel perdono della nonna del piccolo ucciso. E poi via, una carrellata di oltre tre ore di volti e di storie, dal combattente siriano, al sopravvissuto al genocidio in Burundi, dall’ebrea scampata all’orrore dell’Olocausto ai migranti di Calais: ne esce un ritratto potente dell’umanità e dei suoi dolori, intervallato dalle spettacolari vedute aeree di mari e deserti, di campi e folle in festa che, come spiega Arthus-Bertrand sono «immagini simboliche che vogliono mostrare quanto è bella la vita». Il film, finanziato dalla Fondazione Bettencourt Schueller e la Fondazione GoodPlanet, verrà proiettato a Venezia 72 fuori concorso il 12 settembre e in contemporanea alle Nazioni Unite in occasione del loro 70° anniversario.
Yann, come mai dopo 40 anni di viaggi ha deciso di dare voce all’umanità? «Perché oggi è necessario parlare di buoni sentimenti.
Human non è un progetto commerciale, è un film di discussione che verrà condiviso col pubblico più vasto possibile, dalle sale alla tv al web. Dal 12 settembre Google renderà disponibile in tutto il mondo
Human su YouTube in sei lingue e creerà sei canali che offriranno tre film da 90 minuti. Il film sarà offerto gratuitamente alle organizzazioni benefiche e ai centri culturali».
Una curiosità, ma lei cosa avrebbe chiesto al Papa? «Gli avrei chiesto delle cose normali, perché lui ha fatto della normalità la sua cifra: gli avrei chiesto che cosa è cambiato nella vita, che cos’è la felicità, quando ha pianto l’ultima volta, se riesce a perdonare… Al tempo stesso è una grande guida spirituale, abbiamo bisogno oggi di valori etici e morali».
In Human però non ci sono domande su Dio e la religione. «Mi sono posto il problema, ma era troppo difficile parlare di Dio nei Paesi arabi. Lì Dio non è discutibile, è un’evidenza e la gente è reticente a parlarne. Però è vero, c’è bisogno di tornare ai valori spirituali. Io non sono credente, ma una parte del mio prossimo film verterà su questo. Ma credo già che
Human sia un film spirituale, alla fine di questo racconto corale si torna a fare i conti sul vero senso della vita».
Perché iniziare il film parlando della violenza e della guerra? «Perché è il più grande interrogativo della vita, dopo secoli di civilizzazione trovo incredibile che si possa ancora combattere. Purtroppo l’uomo ama uccidere, come spiega bene un marine che ha avuto la vita distrutta dalla guerra. Sul concetto di “non uccidere” ho appaiato due testimonianze profondamente toccanti, quella di due padri, uno palestinese e uno ebreo, che hanno perso i figli uccisi dalla parte avversa ma che ora promuovono la pace».
Dalle guerre, inoltre, fuggono tanti disperati che arrivano in Europa. «Sono stato personalmente due volte a Lampedusa, tre volte a Calais e due volte a Melilla. Quando viaggi capisci perché queste persone fuggono in cerca di una vita: noi dobbiamo diventare generosi e dobbiamo saper donare. La Germania accogliendo i profughi ha fatto un gesto straordinario, vorrei che il mio Paese, la Francia, fosse capace di fare lo stesso».
Altra piaga indagata dal film è la povertà. «Il mondo è pieno di persone che non hanno diritto a niente, nel film raccontano le loro storie i moderni schiavi della canna da zucchero di Haiti, la casta degli intoccabili in India, ma anche le donne violate, donne fulcro della famiglia ma disprezzate in larga parte del mondo nonostante la loro sensibilità e intelligenza. E i gay, che ancora oggi in 20 Paesi rischiano la pena di morte».
Ma qual è il significato della vita per lei? «Credo sia un dovere essere felici per rendere felici gli altri. So che i miei quattro nipotini vivranno in un mondo più difficile. La sola soluzione è parlare d’amore».