mercoledì 6 novembre 2013
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L’ennesima puntata della straordinaria vicenda delle cellule HeLa ha suscitato nuovi interrogativi, ma ha anche favorito un nuovo approccio – più trasparente e responsabile, si spera – nei rapporti tra scienza e società. La linea cellulare «immortale» su cui hanno studiato tutti i medici degli ultimi cinquant’anni – che è servita a sviluppare il vaccino contro la polio e i farmaci contro l’Aids, a indagare gli effetti delle radiazioni atomiche e a molte altre sperimentazioni – proviene infatti da una raccoglitrice di tabacco, l’afroamericana Henrietta Lacks (da cui la sigla HeLa), morta nel 1951 a 31 anni per un cancro alla cervice uterina, lasciando marito e 5 figli. La storia di questa donna è stata raccontata dalla giornalista scientifica Rebecca Skloot in un libro accurato e coinvolgente (La vita immortale di Henrietta Lacks, Adelphi 2011), che ha sollevato i problemi del consenso informato nella ricerca medica (anche per l’utilizzo di tessuti e informazioni biologiche) e della possibilità che big pharma tragga profitti dalle cellule di un donatore inconsapevole. La vicenda è tornata d’attualità quest’anno per la pubblicazione (anche online) del genoma delle HeLa da parte di un team di ricercatori del Laboratorio europeo di biologia molecolare di Heidelberg (Germania), guidati da Lars Steinmetz. La reazione della famiglia Lacks ha riaperto il dibattito, coinvolgendo i National Institutes of Health (Nih), l’agenzia governativa statunitense dedicata alla ricerca biomedica. Il prelievo di un campione delle cellule tumorali di Henrietta venne effettuato – durante le cure – quasi sicuramente a sua insaputa: rappresentava una routine per i medici che cercavano inutilmente di far crescere linee cellulari per la ricerca. È anche verosimile che la donna non abbia mai saputo quanto inaspettatamente si verificò nei laboratori: le sue cellule cancerose si moltiplicavano con una vitalità che lasciò stupefatti gli scienziati. Negli anni seguenti, le linee cellulari derivate da quel tessuto – distribuite all’inizio in forma gratuita e per amicizia personale dai ricercatori a colleghi di altri laboratori – hanno dato materia a centinaia di studi sugli argomenti più vari della biologia e della medicina, hanno costituito la base per le ricerche di almeno due premi Nobel ma, giunte in possesso di case farmaceutiche, hanno anche costituito un business dagli enormi profitti. In un’era in cui il consenso informato era di là da venire e la ricerca medica si svolgeva spesso ancora in modo pionieristico, sfruttando la serendipity e le intuizioni del singolo scienziato, questo poteva accadere senza piena consapevolezza dei diritti delle persone coinvolte. Tuttavia, una ventina d’anni dopo, alcuni ricercatori – incuriositi dalla possibilità che anche le cellule dei discendenti di Henrietta possedessero qualche caratteristica "speciale" – cercarono la famiglia Lacks per ottenere donazioni di sangue utili a ulteriori indagini, ma senza rivelare i loro veri obiettivi. Si è autorizzati a sospettare che gli scienziati si siano approfittati della subalternità sociale e culturale della famiglia Lacks: Henrietta fu curata all’ospedale Johns Hopkins di Baltimora, che all’epoca era uno dei pochi che ricoverasse persone di colore, e i suoi discendenti furono poi stretti fra necessità economiche (molti non potevano pagarsi i farmaci perché privi di assicurazioni) e problemi di droga e violenza. Negli anni Settanta inoltre sono venute alla luce le discutibili sperimentazioni sui neri portate avanti per decenni a Tuskegee (uomini affetti da sifilide arruolati in uno studio sull’evoluzione della malattia non furono né informati della propria condizione né curati, neppure quando fu disponibile una terapia antibiotica adeguata) mentre, di tanto in tanto, emergevano notizie sulla grande utilità delle cellule di Henrietta e dei grandi guadagni che alcuni erano riusciti a trarne: è comprensibile che i Lacks fossero frastornati e inclini a credere che anche la loro parente fosse stata sottoposta a chissà quali esperimenti. Negli ultimi anni, figli e nipoti di Henrietta si sono rappacificati con la scienza: sono stati più volte chiamati a manifestazioni in onore della progenitrice e – hanno detto – non vogliono impedire il progresso medico. Tuttavia sono rimasti stupiti – come ha riferito la Skloot sul New York Times – di non essere stati informati della pubblicazione del genoma delle HeLa sulla rivista G3: Genes, Genomes, Genetics (organo della Genetics Society of America), lamentando una violazione della loro privacy. Ne è nata, come ha scritto Nature, una «tempesta bioetica». Jonathan Eisen, docente di biologia a Davis (Università della California), si è detto sbalordito della pubblicazione senza il consenso della famiglia e Yaniv Erlich, fellow al Whitehead Institute for Biomedical Research (Massachusetts) ha ribadito che dal Dna delle HeLa si possono inferire dati relativi ai Lacks. Sull’altro fronte il biologo Florian Markowetz (Università di Cambridge) ha giudicato la Skloot troppo coinvolta emotivamente con la famiglia Lacks e il suo collega Michael Eisen di Berkeley (Università della California) ritiene il caso di Henrietta Lacks talmente particolare da non poter costituire un esempio valido per stabilire un potere di veto delle famiglie (che Eisen esclude) sulla pubblicazione di dati genetici di un congiunto. Il team di Heidelberg si è scusato con i parenti e la rivista (cancellati i dati online – per quel che può valere) si è detta pronta a trovare una soluzione. E in agosto Francis Collins, già a capo del Progetto Genoma e ora direttore dei <+corsivo>National Institutes of Health<+tondo>, ha annunciato che è stato raggiunto un accordo con la famiglia Lacks, che ha avuto grande risalto sulle principali riviste scientifiche: un paio di discendenti di Henrietta prenderanno parte a una commissione mista con scienziati dei Nih per decidere di volta in volta quali informazioni relative al Dna delle cellule HeLa potranno essere pubblicate. Il caso HeLa è (forse) chiuso, l’auspicio è che abbia fatto scuola.
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