La storia di due famiglie e di due popoli, di leader responsabili e di cattivi maestri. Di una guerra appena cominciata sulle macerie di un pace durata troppo poco. Da una parte lo scimpanzé Caesar e la sua comunità di primati evoluti che vivono e prosperano nella foresta, capaci ormai di esprimersi attraverso il linguaggio umano, dall’altra Malcolm, portavoce di un’umanità fragile e impaurita, sopravvissuta tra le rovine di una San Francisco fantasma a causa di un virus letale che in 10 anni ha ridotto del 90 per cento la popolazione mondiale. Sono loro, insieme allo scimmione Koba, che anni di torture nei laboratori umani hanno reso un feroce guerriero capace di ogni nefandezza, i grandi protagonisti di
Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie (sequel del film del 2011 che ha rilanciato la saga nata nel 1968), diretto da Matt Reeves e in arrivo nelle nostre sale distribuito da Fox il 30 luglio. Un film in 3D ricco di innovativi effetti speciali che riflette su un tema drammaticamente attuale: l’imprevedibile escalation dei conflitti, l’incontrollabile follia scatenata dalla guerra, le responsabilità precise di chi accende la miccia, la dolorosa sconfitta di chi lavora per la pace e viene spazzato via dalla cieca violenza. Un apologo, insomma, su quella che Einstein definì «la più grande stupidità criminale che l’umanità possa commettere». Andy Serkis, "attore 2.0" che sulla perfomance
motion capture (ovvero recitazione rielaborata al computer) ha costruito una fortunata carriera dando vita a creature come il Gollum del
Signore degli anelli e King Kong e qui interpreta Caesar, sottolinea le analogie fra la storia del film e i conflitti dei nostri tempi. «
Il pianeta delle scimmie – dice l’attore che abbiamo incontrato ieri a Madrid – è sempre stata una metafora della condizione umana vista con gli occhi delle scimmie. Il film non assume una posizione politica precisa, ma analizza la complessa situazione di chi è pronto a tutto per sopravvivere e difendere la propria famiglia, la propria comunità. L’empatia, la capacità di vedere l’altro come uguale a se stesso, non è un sintomo di debolezza, bensì l’unico strumento che abbiamo per evitare la guerra. Comprendere il punto di vista degli altri è alla base di ogni principio egualitario».Né buoni, né cattivi, dunque, nel film, dove il primo conflitto si scatena proprio nel cuore di Caesar, scimpanzé cresciuto fra gli uomini. «Chi ha torto e chi ha ragione? Dificile dirlo – continua l’attore –. È una scimmia a iniziare la guerra, ma probabilmente ha inizio dalla
ubris , dalla tracotanza dell’uomo, che ha creato in laboratorio un virus nel tentativo di forzare i limiti della scienza». E se Serkis, che ha annunciato la regia de
Il libro della giungla di Kipling e quella de
La fattoria degli animali da Orwell dichiara che il Caesar dei nostri tempi è Nelson Mandela per la sua capacità di conciliare culture e posizioni assai distanti, il regista Matt Reeves pensa anche, con un azzardato volo pindarico, a Vito Corleone e a Obama. Il primo per le sue qualità di leader carismatico e ambiguo, il secondo per essere un ponte fra culture e razze. «Il film è una vera e propria indagine sull’anatomia della violenza – spiega il regista, già al lavoro sul prossimo sequel, previsto per il 2016 –, sulle sue ragioni e le sue conseguenze. È possibile evitarla? Ciò che mi interessa di questo film è che siamo a un punto in cui il conflitto può essere evitato, ma la scintilla scocca e l’escalation è inevitabile. Ho molto pensato anche ai classici western, da quelli di Ford a
li spietati di Eastwood dove due mondi si fronteggiano senza poter evitare il peggio». E, a proposito di rilvoluzionari, aggiunge: «I ribelli ragionano in termini assoluti, c’è il bianco e c’è il nero. Poi, quando raggiungono una posizione di potere, come accade a Caesar, devono fare i conti con una situazione molto più complessa, ricca di sfumature. Questa evoluzione del personaggio è una delle cose più affascinanti della storia».