L’“Assunzione della Vergine” della chiesa di San Francesco ad Aversa, ora attribuita al Guercino.
Massimo Pulini, artista e storico esperto di arte seicentesca, è uno dei maggiori conoscitori dell’opera di Guercino, di cui ha curato tre mostre: a Cento nel 2001 “Guercino. Racconti di paese”, incentrata su un grande dipinto che lo stesso Pulini scoprì in Vaticano e attribuì, trovando concorde Denis Mahon, al pittore emiliano; “Guercino. Le collezioni ritrovate” a Iglesias 2003; infine, nel 2004, prima a Palazzo Reale a Milano e poi a Roma al Museo Termini, “Guercino. Poesia e sentimento nella pittura del Seicento”. La sua ultima scoperta è la grande pala di Aversa di cui in questa pagina ricostruisce il processo che lo ha portato all’identificazione come opera di Guercino. Il pittore sarà celebrato a Piacenza dal 4 marzo al 4 giugno con la mostra “Guercino a Piacenza” a Palazzo Farnese e la possibilità di ascendere all’interno della cupola del duomo per ammirare gli affreschi della cattedrale, che ospita lo straordinario ciclo di affreschi realizzato tra il 1626 e il 1627.
Si era interrotta la ricerca nelle chiese di Napoli e del territorio partenopeo quando, sul finire degli anni Sessanta, si pensò di averla riscoperta a Detroit. Invece la pala d’altare con l’Assunzione della Vergine che Guercino dipinse nel 1650 per una misteriosa committenza napoletana era ancora lì, nella chiesa di San Francesco ad Aversa, in una cappella sontuosa, decorata da intarsi e statue marmoree. Tutto è rimasto come allora nel convento di clausura delle clarisse e accanto all’Assunta c’è ancora l’Adorazione dei pastori che Pietro da Cortona eseguì nello stesso anno, per il medesimo progetto di abbellimento dell’edificio religioso, dispensato cinque anni prima da papa Innocenzo X. L’unica differenza, nella storia delle due importanti tele “oriunde”, sta nel fatto che il pittore toscano firmò a lettere cubitali la sua Natività, assicurandone una memoria perpetua, mentre l’artista emiliano, come sua abitudine, non appose alcuna scritta prima di caricare la grande tela sul carro che da Bologna l’avrebbe portata fin nelle terre del Vesuvio.
Ma nel Libro dei conti di Giovan Francesco Barbieri (detto il Guercino per via di una grave forma di strabismo all’occhio destro), quasi ogni cosa era documentata. Alla data del 14 maggio 1650 lo stesso artista scrive: «Dal Sig. Erigo Sampieri si è ricevuto L 500. per la Capara del quadro che io deuo fare della Madona Asunta in Cielo per Na- poli», mentre solo qualche mese dopo, il 25 ottobre 1650, risulta il saldo dell’opera eseguito «Dal Sig. Carlo Cattalani» per un totale di «312 schudi e lire 2». L’approssimativo riferimento geografico, negli appunti dedicati ai dipinti venduti dall’artista, sottintendeva una destinazione che non rischiava di essere confusa con altre, era il primo e rimase l’unico dipinto d’altare eseguito dal pittore centese per quella lontana regione. Già gli studiosi sapevano che Enrico Sampieri figurava da agente e che un banchiere bolognese era Carlo Cattalani, entrambi avevano ricevuto dunque, da qualche istituto ecclesiastico, l’incarico di portare a compimento la commissione. Quel che non si sapeva era la precisa chiesa di destinazione e quando nel 1971 F.J. Cummings pubblicò una grande Assunta, sicuramente autografa di Guercino, cessarono le ricerche napoletane, tanto era evidente, per stile e qualità, che fosse quella la pala citata anche dal Malvasia nella sua Felsina Pittrice.
Eppure proprio il cronista bolognese ricordava scorgersi, sotto il volo della Vergine, anche un «sepolcro» e degli «Apostoli in lontananza », che invece non risultano nel dipinto del Detroit Institute of Arts. Ora sappiamo che la tela americana deve cercarsi un’altra chiesa d’origine e che venne dipinta otto anni dopo, quando nello stesso Libro dei conti Guercino menziona un ulteriore quadro col medesimo tema mariano. La certezza odierna viene, in primis, dal riconoscimento stilistico della pala aversana e dalla sua corrispondenza assoluta con le fonti antiche. Per quanto inatteso il ritrovamento non deve tuttavia apparire fortuito, è invece uno dei numerosi e progressivi frutti della schedatura del patrimonio ecclesiastico che sta confluendo nell’etica banca dati della Chiesa cattolica. Il sistematico lavoro di catalogazione dei beni conservati negli edifici religiosi, reso fruibile in via telematica (beweb.chiesacattolica.it), permette a ogni studioso di ritrovare opere inedite di importanti artisti e di moltiplicare le traiettorie delle proprie ricerche, anche in territori impensati e negli anfratti della storia.
Di certo non è bastato l’archivio e la succinta scheda, nella quale la pala aversana viene catalogata come opera di “anonimo d’ambito napoletano”, ma riconoscere da una fotografia lo stile di un pittore è il passo che porta a ricondurre un nuovo quadro a quel che già si conosce, alla comparazione testuale e al confronto con le altre opere note. Questo è accaduto a me ed è stato possibile ritrovare altre prove oltre a quelle offerte dal Libro dei conti, conservato in originale all’Archiginnasio di Bologna. Tra le incisioni che, sul finire del Settecento, ritraevano le opere della raccolta cesenate del marchese Costantino Guidi, si ritrova l’immagine di un preciso studio pittorico della pala di Aversa, limitato alla sola Madonna. Non a caso, sempre per Cesena, Guercino aveva dipinto nel 1649, solo un anno prima dell’incarico napoletano, una bellissima Beata Margherita da Cortona, che ora si annovera tra le principali sante delle clarisse, lo stesso ordine del convento aversano. Cesena e Cortona dunque dovettero essere le città che collegarono le commissioni gemelle di Guercino e di Pietro Berrettini da Cortona, due artisti che nel 1650 erano tra i più noti d’Europa, ma che non avevano avuto precedenti di lavoro con quel territorio della penisola. Integrano le prove dell’autografia guercinesca anche alcuni disegni preparatori per la testa della Vergine e per lo studio di alcuni angeli, ma resta ancora un mistero da indagare la presenza in Inghilterra, precisamente presso la chiesa dell’Assunzione della Vergine di Latchford ( Warrington), di una copia di bottega, forse della mano del fedele Bartolomeo Gennari.
Questo sembra essere proprio l’anno di Guercino, dopo il ritrovamento rocambolesco a Casablanca della pala rapita due anni fa a Modena, si apre ora un’importante esposizione a Piacenza (4 marzo) che permetterà anche di vedere dappresso la cupola dipinta dal maestro e di fare il punto sulle ricerche in due giornate di studi che si terranno in città il 22 e il 23 marzo. Sarà in quel consesso di conoscitori internazionali che verrà esposta una relazione dettagliata sul dipinto di Aversa e sulle aperture offerte dall’archiviazione digitale delle diocesi italiane. Resta infine da osservare come l’intonazione dell’opera aversana, dominata da un erubescente tramonto e resa intima da un affettuoso fraseggio di angeli, trovasse qualche ragione di cupezza nella morte, avvenuta solo pochi mesi prima, dell’amato fratello minore.
BeWeB, il patrimonio delle diocesi in rete
L’attribuzione della pala di Aversa al Guercino è stata resa possibile anche dalla sua presenza online su BeWeB (Beni ecclesiastici in web: beweb.chiesacattolica.it), la vetrina che rende visibile il lavoro di censimento sistematico del patrimonio storico e artistico, architettonico, archivistico e librario portato avanti dalle diocesi italiane e dagli istituti culturali ecclesiastici sui beni di loro proprietà. È anche il luogo dove facilitare, attraverso approfondimenti tematici, condivisione di risorse e news, la comprensione e la lettura del patrimonio diocesano da parte di un pubblico ampio e non di soli specialisti. Il portale intende essere l’espressione di una redazione distribuita che vede protagoniste le diocesi e tutta la realtà ecclesiale, onde far emergere, insieme a quelle tradizionali, chiavi di lettura del patrimonio di carattere pastorale, catechetico, liturgico e più in generale teologiche.