Roberto Saviano annuncia, tramite La Repubblica, con anticipo a puntate, un romanzo o un libro di racconti – uscirà a dicembre – sulla delinquenza giovanile a Napoli. Non sembra né una novità, né, dagli anticipi, un capolavoro. Piuttosto un pamphlet di maniera – titolo La paranza dei bambini. Michele Santoro presenta al festival del cinema di Venezia Robinù, docu-film girato nella sezione minorile del carcere di Poggioreale e nel carcere minorile di Airola. Sul tema, lo scrittore e sceneggiatore Maurizio Braucci sintetizza: «Eh, è una lunga storia di gangs». Ma quando comincia a Napoli lo scollamento dei bambini e dei ragazzini dalle regole comuni?
Quelle che noi chiamiamo «regole»... Comincia, come sempre, negli anni del bisogno estremo, della guerra, della insurrezione delle 4 giornate (quando li chiamano «scugnizzi») e nei mesi di occupazione-liberazione della città: autunno 1943. È questo, nella città occupata dai liberatori, il tempo della perdita della innocenza, della «peste» a Napoli – appestati appaiono i bambini a Curzio Malaparte, che così ne scrive ne La pelle (1949): «A pochi passi da me udivo le risate magre dei bambini, la rauca voce dei goumiers, i soldati marocchini incorporati nell’armata. C’era il mercato dei bambini, ragazzi dagli otto ai dieci anni sedevano seminudi davanti ai soldati marocchini che li osservavano attentamente, li sceglievano, contrattavano il prezzo con le orribili donne sdentate, dal viso scarno e vizzo incrostato di belletto, che facevan commercio di quei piccoli schiavi». Liliana Cavani riprende le cronache di Malaparte nel film omonimo nel 1981. Le candele alle santelle dei vicoli e dei bassi sono spente, la religiosità popolare – mista di primitivismo e devozione –, le pitture sacre a muro, le immagini di culto, scompaiono lentamente.
Il secondo grande passaggio della condizione giovanile, dopo la vendita dei corpi, si ha per la trasformazione in «piazza di mercato» della città. In Vito e gli altri, il bel film di Antonio Capuano, il suo primo (1991), si dichiara quest’altra decisiva cadenza, la svolta definitiva. In un passaggio del film i ragazzini discutono della vendita dei corpi – anche all’estero – praticata dalle madri, dalle sorelle. Ne parlano come di generazioni remote e salvano la propria dalla prostituzione «perché adesso ci sta la droga».
Un oggetto, infine una merce si è messa tra sé e gli altri, si è formato un mercato, l’oggettivazione del mondo. Capuano, che parla al telefono, cita a memoria, puntuale, il dialogo in dialetto del film e dice: «Oggi quel commercio è uno dei più forti e aggressivi, è il business della città…». Sta viaggiando sulla Cumana, la ferrovia a ovest della città che arriva sino alla spiaggia di Lucrino. Va al mare. Lui non si sposta da Napoli neanche nelle vacanze, lui fa films solo su Napoli: «È un caso… Non lo so, è un caso, che fino a mò mi sono arrivate soltanto storie napoletane? Forse Napoli è una città enormemente densa di tutto? Ho insegnato in Calabria, a Firenze e non è che non esca da Napoli o dall’Italia. Comunque sono anni luce lontano dal sentirmi provinciale.
Vale la pena di vivere ovunque tu voglia». E tutto però, con l’apparizione della merce, si complica. I corpi che si salvano attraverso la merce dalla vendita di sé, dalla prostituzione, sono presto schierati, in modo definitivo, nella conquista e nella difesa di quote di mercato. È il passaggio cruciale alla guerra, l’apprendistato criminale dei ragazzi. Lo mette in scena Diego De Silva in Certi bambini (Einaudi, 2001), un coup de théâtre sul palco stretto delle scritture italiane. Qualche anno dopo il libro Andrea e Antonio Frazzi ne fanno un film, ma è la pagina scritta che segna una novità in quegli anni di rinascita della letteratura campana: Braucci presenta Mare guasto (edizioni e/o, 1999) – storia di un giovane tossicodipendente e di un giovanissimo camorrista –, Antonio Pascale La città distratta( Einaudi, 2001) su Caserta, Valeria Parrella i racconti Mosca più balena( Minimum fax, 2003). Una stagione del neorealismo napoletano? Gli autori rifiutano la poetica e dichiarano coincidenza di generazione l’appartenere a una scrittura che si misura con il reale.
De Silva con Rosario, il ragazzino, quasi un bambino, protagonista del suo libro – viene promosso a killer in un susseguirsi di vicende a montaggio cinematografico –, è l’autore qui più pertinente. «Il colpo entra tra la spalla e collo. L’uomo non dice e non urla. Si afferra la gola e sbarra gli occhi su Rosario. Rosario si sposta indietro di un passo continuando a puntargli in faccia la pistola… L’uomo non smette di fissarlo, lo guarda con una spaventosa dignità. Rosario reagisce con rabbia. Vafangulovanfangulo, ringhia. Spara ancora due volte». Gomorra di Roberto Saviano, un best seller (Mondadori 2006) che compie dieci anni e l’omonimo grande film di Matteo Garrone (2008) – libro e film si contendono efficacia e successo – rappresentano un territorio, Scampia. E vite e vicende che attorno a quel territorio trovano la ragione di esistere. La guerra mercantile si articola su territori, su quartieri.
La conquista e gestione di un territorio, di un quartiere, sono il concreto spazio e il limite di un potere. Qui i ragazzi vengono addestrati da piccoli, il percorso di sopravvivenza è l’adesione forzata all’uno o all’altro clan. Chi tenta un percorso autonomo trova la morte come capita alla coppia – in verità balorda – di Marco e Ciro giovani che – nel libro e nel film – rubano e nascondono le armi di un clan. Ragazzi che sognano quantità abnormi di merce, di danaro, l’oro da esibire nei rubinetti di casa, sognano Al Pacino in Scarface. Merce, violenza e guerra? Discorso finito? Antonio Capuano di nuovo sui bambini: «Lo sanno tutti, a Napoli i ragazzi, i bambini, hanno sempre lavorato. È un dato quasi 'naturale'… Ma il racconto dolente dei ragazzi 'perduti', che andava fatto, è stato trasformato dagli ultimi arrivati nella nuova cartolina di Napoli.
Se mi riesce ho in mente da tempo un film sui ragazzi che lavorano. Già in Bagnoli Jungle, il mio ultimo documentario, c’è un capitolo dedicato a un vero garzone di salumiere. Ma sono ragazzi che non sparano. E il 'mercato' vuole solo quelli che sparano».