venerdì 20 maggio 2016
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«La mia situazione qui nel Salvador è difficile e delicata, in diversi Paesi dell’America Latina ci sono vescovi in situazioni molto simili. Sono incompresi molte volte dai loro fratelli vescovi e dall’ambiente intorno. Non viene capito quell’impegno che il Vangelo e la dottrina attuale della Chiesa chiede ai suoi pastori!». Era l’aprile del 1978 quando monsignor Óscar Romero (beatificato il 23 maggio di un anno fa) dettava a un magnetofono queste parole, una pratica diaristica che lo avrebbe accompagnato fino alla vigilia del suo assassinio, il 24 marzo 1980. Ed è proprio questo 'scontro' interno alla Chiesa, fatto di incomprensioni verso Romero, ma anche di drammatiche maldicenze, odiose insinuazioni, precise accuse, fiaccante isolamento, uno dei tratti più eloquenti che viene alla luce leggendo il recente testo di Francesco Comina basato sui diari del vescovo martire. È stato proprio papa Francesco a riconoscere pubblicamente che Romero fu vittima dell’ostracismo dei suoi confratelli vescovi, che non capirono anzi denigrarono (con l’accusa a Roma, a quel tempo micidiale, di 'marxismo') l’azione pastorale di liberazione operata dall’arcivescovo di San Salvador. E rileggendo il diario si possono evidenziare alcuni aspetti di rinnovata attualità nella vicenda del presule salvadoregno. Ad esempio, il 'sotterraneo' rapporto tra Romero e Jorge Mario Bergoglio. Ci sono due personaggi che negli anni in cui il monseñornon ha un gran rapporto con la curia romana spiccano per aver compreso in anticipo l’apporto straordinario di questo vescovo all’azione della Chiesa rinnovatasi nel post-concilio: uno è il padre Arrupe, superiore generale dei gesuiti; l’altro, il cardinal Pironio, argentino come papa Francesco. Non è difficile ipotizzare che proprio tramite queste figure siano giunte in tempi non sospetti al futuro pontefice dettagliate (e precise) notizie sulla vicenda di Romero. In seconda battuta, si ridimensiona quella sorta di 'leggenda nera' che vedeva in Giovanni Paolo II una sorta di fustigatore di Romero. Anzitutto, perché è dal diario stesso di Romero, e Comina lo evidenzia, che si evince come l’ipotesi fatta ventilare dal Vaticano di essere affiancato da un amministratore apostolico (una sorta di 'commissariamento') fosse una mossa della gerarchia per testare la tenuta episcopale, di governo e di personalità, dello stesso Romero. E infine, mentre una prima udienza privata era stata indubbiamente 'freddina', in quella del gennaio 1980 il monseñor può affermare: «Ho sentito che il Papa è molto d’accordo con tutto quello che io dico e, alla fine, mi ha abbracciato fraternamente e mi ha detto che prega tutti i giorni per il Salvador. E qui ho avuto la sensazione che Dio stesso confermava e dava la forza al mio ministero». Infine risalta la statura di Romero durante i convulsi anni di guerra civile salvadoregna, stretto com’era tra le violenze dei paramilitari di destra, verso i quali il governo indulgeva in impunità se non in aperte azioni di fiancheggiamento, e le risposte di rapimenti, ostaggi e violenze da parte dei gruppi di sinistra: «Nel pomeriggio – annota Romero nel marzo 1979 – ho avuto un colloquio con due elementi della guerriglia con i quali ho cercato di mantenere ferma l’idea cristiana della nonviolenza. Però questa gente è convintissima che non sarà la forza dell’amore ad aggiustare la situazione, ma la forza della violenza, poiché non si vogliono sentir ragioni e tanto meno esercitare l’amore cristiano ». Quella carità invece che Romero seppe vivere fino all’estremo sacrificio. E che oggi la Chiesa gli ha riconosciuto in modo ufficiale. © RIPRODUZIONE RISERVATA Francesco Comina MONSIGNOR ROMERO MARTIRE PER IL POPOLO I giorni ultimi nel racconto del diario La Meridiana Pagine 216. Euro 18,00 A un anno dalla beatificazione vengono pubblicati i passi del diario dell’arcivescovo che riportano alle ragioni del suo martirio Óscar Romero
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