Gli 80 anni di Johnny Dorelli
Agli italiani piacciono le classifiche: e Sanremo come sempre l’ha confermato. Nella sera delle cover è stata rimessa in gara pure L’immensità, lanciata nel ’67 da Don Backy e Johnny Dorelli. Dorelli: un signore che lunedì 20 febbraio compie 80 anni, un artista da qualche tempo uscito di scena con discrezione, ma ancor oggi l’unico nome da farsi in risposta al quesito «Chi è il più grande entertainer dello spettacolo italiano?». Perché il primo in questa classifica resta lui, Dorelli: che sin dall’esordio italiano (avvenuto sempre a Sanremo, quando vinse con Modugno fra Volare e Piove) è stato l’unico interprete nostrano mai paragonato a Sinatra. E pensare che Dorelli viene da un talent, faccenda comprovata anche quando, avendolo interrogato su talent e reality di oggi, ci regalò un sornione «Se la tv si sintonizza su di loro mi addormento subito»; ma pure cosa che nell’America anni ’40 funzionava in modo diverso. Negli Usa (dove aveva seguito il padre, tenore) un imberbe Dorelli studiò piano e canto alla High School of Art di New York, quella di Saranno famosi: per venire poi lanciato in tv dalla CBS in un talent vinto per diciotto settimane. Indi il ritorno in Italia, artista tecnicamente preparato e poliedrico: a lanciare Lettera a Pinocchio («È proprio brutta, sa? Però vorrei averla scritta io…»), Love in Portofino, Parla più piano. E dopo gli anni 60 la sua voce morbida e poderosa, le sue interpretazioni eleganti e di carattere riemersero intatte nella raffinatezza del capolavoro dell’89 Mi son svegliato e c’eri tu, fra Paoli, Bernstein, Cocciante, Gershwin, Stevie Wonder. Nel frattempo però Dorelli era divenuto numero uno anche in tv, cinema e teatro, perché il neo-ottantenne possiede pure cultura, humour, tempi comici e capacità attorali tali da poter mettere in scena ironica bonomia, poi fredda efferatezza e infine straziato smarrimento. Come ne La coscienza di Zeno di Bolchi, e sempre con stile. Al cinema Dorelli ha interpretato pure State buoni se potete di Magni (era san Filippo Neri) o Ma quando arrivano le ragazze? di Avati; a teatro ha dilagato fra I ragazzi irresistibili e i musical di Bacharach sino ad Aggiungi un posto a tavola, rendendo l’Italia protagonista nel West End londinese. Poi, 2007, il ritorno a Sanremo. Nell’era dei Bublé e a surclassare una generazione da zero assoluto in molti sensi, ricordando che si può essere padroni del palco e del pubblico con garbo e tecnica, non per forza fra grida, provocazioni e mezze melodie. Dopo quel Sanremo Dorelli lo incise pure, Sinatra: in una trilogia da mettere nei programmi delle scuole di canto. Lo definiscono orso. Vero? «È più giusto rompitasche. Non accetto compromessi e non amo apparire tanto per fare: sono cresciuto nella cultura del rispetto sul lavoro». Buon compleanno, Johnny Dorelli. Sappiamo che lei è per l’elogio dell’indolenza, ma quanto manca all’Italia del 2017 la sua poliedricità misurata ed educata: altri Sinatra, da queste parti, non se ne sono visti. © RIPRODUZIONE RISERVATA