Secondo diversi studiosi, fra le nazioni più industrializzate gli italiani sono uno dei popoli che più stanno agendo “contro” i propri giovani e che hanno permesso la più massiccia redistribuzione di risorse dalla generazione dei figli a quella dei genitori. Questo giudizio sembra confermato dal recente Indice di giustizia tra generazioni (Intergenerational Justice Index, Iji), concepito da Pieter Vanhuysse, dell’European Centre for Social Welfare Policy and Research, un’organizzazione intergovernativa affiliata alle Nazioni Unite. L’indice aggrega quattro indicatori per le dimensioni sociale, economica ed ecologica: debito pubblico per ogni giovane (sotto i diciott’anni), povertà dei giovani, spesa sociale per gli anziani rispetto a quella per il resto della popolazione, impronta ecologica pro capite (ettari di superficie bioproduttiva usati per abitante). Tra ventinove Paesi dell’Ocse i meglio piazzati sono Estonia, Sud Corea, Israele, Nuova Zelanda, Ungheria e i Paesi scandinavi (Iji da 0,9 a 0,8). Quelli con l’indice più basso sono Grecia, Italia, Giappone e Usa (da 0,6 a 0,5). L’Italia è terzultima nello squilibrio della spesa sociale: quella per gli anziani è sette volte maggiore di quella per il resto della popolazione, mentre nei Paesi più equilibrati è solo tre volte maggiore. Siamo inoltre quinti per il più alto tasso di povertà dei giovani. Il debito pubblico per ogni giovane è di 5.000 euro in Estonia, di 238.500 in Italia. Per riequilibrare il rapporto tra le generazioni gli autori suggeriscono un aumento della spesa sociale per i giovani, specialmente per l’istruzione, e il diritto di voto dalla nascita, esercitato dai genitori fino a una certa età dei figli. Il sociologo Marco Albertini ha messo in luce come in Italia nel giro di trent’anni le fasce di età a rischio di reddito molto basso siano cambiate. Nel 1977 gli anziani (dai sessantacinque anni in su) avevano il doppio di probabilità della media nazionale di essere nel venti per cento della popolazione con il reddito più basso. Nel 2004 gli anziani, in media, hanno invece meno probabilità della media nazionale di essere tra i più poveri, mentre le fasce con una probabilità di povertà maggiore della media sono quelle al di sotto dei quarant'anni.
Negli ultimi dieci anni questo squilibrio è probabilmente aumentato. Dopo il Giappone e la Germania l’Italia ha la terza più alta percentuale di abitanti con età di sessantacinque anni o più, il venti per cento, contro il quindici della media dei Paesi Ocse. L’Italia occupa lo stesso rango mondiale anche in buona parte degli indicatori demografici di anzianità: età mediana dei residenti (quarantaquattro anni), rapporto tra abitanti oltre i sessantacinque anni e sotto i quindici. L’evoluzione demografica prevede inoltre che sempre meno lavoratori dovranno mantenere sempre più pensionati. Reddito e patrimonio degli anziani italiani benestanti si basano in buona parte su quanto accumulato nei decenni di prosperità economica del dopoguerra. Per questo essi sono quasi sicuramente maggiori, in valore reale, del patrimonio, del reddito e delle pensioni che possono aspettarsi molti giovani di oggi, che vivono in un contesto di precarietà lavorativa, disoccupazione specialmente giovanile, crisi economica e ristagno del Pil. Gli anziani di oggi che hanno ereditato patrimoni nei decenni scorsi, quando la durata media della vita era minore di quella attuale e di quella, ancora più lunga, prevista nei prossimi decenni, ne hanno beneficiato più a lungo e in un’età più giovane di quella in cui ne beneficeranno i giovani d’oggi, che spesso erediteranno solo quando saranno pensionati. Gli anziani italiani, infine, hanno un livello d’istruzione che non va di pari passo con le posizioni favorevoli che occupano nella società. L’Italia è uno dei Paesi industriali con il più basso tasso di diplomati e laureati. Questo divario è ancora maggiore per i più anziani, che furono giovani quando pochi accedevano all’istruzione superiore e il divario d’istruzione tra l’Italia e il resto d’Europa era maggiore di quello attuale.
Oltre a essere in proporzione particolarmente numerosi, molti anziani hanno maggiori poteri che altrove. In Italia, infatti, i posti più influenti in politica e in economia sono spesso occupati da persone che per età potrebbero essere padri o nonni dei loro omologhi in altri Paesi. A questi squilibri di reddito, patrimonio e potere si aggiunge infine la peculiarità italiana – unica al mondo – di concedere i pieni diritti elettorali solo a venticinque anni, sbilanciando così il corpo elettorale verso l’età anziana. Inoltre, mentre l’età mediana dei residenti è di quarantaquattro anni, l’età mediana degli elettori è ormai intorno ai cinquant’anni, perché dei residenti fanno parte anche molti milioni di giovani abitanti non votanti: gli stranieri (in media più giovani) e i minorenni. Questa preponderanza dei cittadini e degli elettori anziani è anacronistica in un’epoca nella quale i dirigenti politici ed economici tendono a far slittare nel futuro le conseguenze negative, per esempio in campo ambientale e finanziario, di scelte mirate a massimizzare i vantaggi nel presente e nella quale i più giovani e le prossime generazioni hanno, per la prima volta, la prospettiva di vivere in un mondo peggiore di quello attuale.