La prima risale al 1950 e l’abbiamo celebrata per la 64a volta il 10 dicembre: è la Giornata mondiale dei diritti umani. Venne istituita dalla neonata Assemblea generale delle Nazioni Unite che, con un’apposita risoluzione, invitava tutti gli Stati e le organizzazioni internazionali a ricordare così la "Dichiarazione universale dei diritti umani", varata due anni prima, e a moltiplicare gli sforzi per la sua attuazione. Fare memoria e invitare all’azione, incalzare i governi e sostenere gli sforzi della società civile; raccogliere fondi per i progetti sviluppo, le emergenze, la prevenzione e la ricerca. Sono questi, in sintesi, gli obiettivi che hanno ispirato l’istituzione di giornate mondiali su vari temi. Con una proliferazione che, però, rischia di svuotare di senso le giornate stesse. Consultando il sito delle Nazioni Unite, si contano 119 Giornate internazionali (o Giornate mondiali), in media una ogni tre giorni. Alcune sono molto note: a esempio la prima segnata sul calendario, la Giornata per la commemorazione delle vittime dell’Olocausto (27 gennaio), oppure la Giornata mondiale dell’alimentazione (16 ottobre) o quella per la lotta all’Aids (1° dicembre). Nel complesso, però, la maggior parte di queste ricorrenze rimane sconosciuta ai più: quante persone sanno che il 23 marzo si celebra la Giornata mondiale della meteorologia e, il terzo giovedì di novembre, quella della filosofia? Quanti, anche tra gli appassionati del genere, "festeggiano" la Giornata internazionale del jazz, il 30 aprile, e quanti il 1° giugno la Giornata internazionale dei genitori? Non solo. Si nota una certa sovrapposizione di temi o quantomeno la genericità di alcune ricorrenze. Difficile, se non per gli addetti ai lavori, capire ad esempio quale differenza ci sia tra la Giornata contro le discriminazioni (1° marzo) e quella per la tolleranza (16 novembre), o tra le due giornate dedicate alla Madre Terra (22 aprile) e all’habitat (7 ottobre). Così come è arduo mettere a fuoco il tema specifico di giornate come quella della felicità (20 marzo) o quella dell’amicizia (30 luglio).Per non parlare di "feste" decisamente singolari: dal mazzo scegliamo la Giornata mondiale degli uccelli migratori (11-12 marzo), quella della posta (9 ottobre) e quella dell’aviazione civile (7 dicembre). Le perplessità aumentano se a tutto questo si aggiunge che queste 119 giornate internazionali sono solo una parte delle celebrazioni promosse dall’Onu e dalle agenzie collegate (Fao, Unesco, Oms, ecc.). Nel 1959 fu infatti istituito il primo anno internazionale, in quell’occasione focalizzato sui rifugiati, mentre nel 1961 prese avvio la prima decade Onu, che aveva come tema lo sviluppo (attualmente si stanno celebrando in contemporanea dieci decenni); nel 1978, infine, fu la volta della prima settimana internazionale, dedicata al disarmo, istituita tra il 24 e il 30 ottobre e celebrata ancora oggi (in totale sono 8 le settimane Onu durante l’anno). È forse sulle annate che l’originalità raggiunge il top, perlomeno in questo 2014 appena iniziato, in cui si sovrappongono tre anni internazionali: a quello dedicato al tema, certamente rilevante nel Sud del mondo, dell’agricoltura familiare, si affiancano l’anno internazionale della cristallografia e l’anno delle piccole isole-Stato.
Insomma, il rischio di voler celebrare tutto finendo col non celebrare nulla è forte. La pensano così due autorevoli rappresentanti italiani della cooperazione internazionale, uno dei mondi che dovrebbe essere più sensibile verso queste iniziative. «Sono tutte giornate importanti e i temi sono sacrosanti – chiarisce Paolo Dieci, presidente di "Link2007", network che riunisce 9 tra le maggiori Ong italiane, e direttore del Cisp –. Ho in mente ad esempio la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne del 25 novembre, e quella dell’alimentazione. Ma rischiano di essere giornate vuote se, oltre a ribadire gli impegni da parte dei soggetti coinvolti, non si fa un bilancio dei risultati ottenuti. Faccio un esempio: ogni anno il 1° dicembre si celebra la Giornata contro l’Aids, ma l’Italia ha sospeso i finanziamenti al Fondo mondiale per combattere malaria, Aids e tubercolosi. Non è ipocrisia?».Attilio Ascani, direttore della Focsiv (federazione di cui fanno parte 65 organizzazioni di volontariato di ispirazione cristiana) è in piena sintonia: «Sono tutte iniziative lodevoli, ma il rischio è che se ne perda il senso. La molteplicità di celebrazioni fa sì che l’impatto sia frammentario. Anche noi che siamo del settore spesso perdiamo di vista alcuni di questi appuntamenti. Tra l’altro si moltiplicano anche i promotori: non ci sono più solo l’Onu o le agenzie collegate, ma anche ad esempio l’Unione europea».Dunque, tutto da buttare? Niente affatto. «Va riconosciuto che alcune di queste giornate – continua Ascani – sono state la molla per generare iniziative che poi sono cresciute nel tempo, magari sganciandosi dall’occasione iniziale. Ho in mente la Giornata mondiale dell’acqua, il 23 marzo, da cui ha tratto origine il "Forum Acqua" che poi ha condotto tante iniziative anche in Italia». «Per noi Ong – gli fa eco Paolo Dieci – queste giornate sono occasioni per coordinarci, per confrontarci su ciò che facciamo e farlo conoscere al pubblico. Magari senza questa occasione di visibilità, tanti progetti resterebbero più nascosti».Rimane, però, la sensazione di un’energia che rischia di disperdersi in troppi rivoli. Energia fatta anche di banali, ma molto concrete, risorse economiche. Nessuno dei nostri due interlocutori sa dire a quanto ammontino i fondi che l’Onu stanzia per queste giornate, ma la sensazione è che siano in gioco grosse cifre. «Giornate come quelle per i diritti umani, contro la fame o l’Aids certamente ricevono finanziamenti importanti – dice Ascani –. Va detto, per chiarezza, che nulla arriva alle Ong, le quali, se organizzano eventi connessi a queste o altre celebrazioni, lo fanno con fondi propri». Dieci conferma, aggiungendo un appello: «Servirebbe maggiore trasparenza: sia sui risultati ottenuti, sia sull’aspetto delle risorse. Altrimenti resta la sensazione che sia una enorme fiera del marketing e del fundraising».Per avere un punto di vista interno, a Ginevra, la seconda delle sedi Onu, incontriamo la responsabile dell’Ufficio stampa e relazioni esterne. È l’italiana Alessandra Vellucci, la quale ci chiarisce anzitutto come nascono le Giornate mondiali: «Quasi tutte sono decise dall’Assemblea generale, dunque in qualche modo da tutto il mondo. La decisione viene presa su proposta di governi, Ong, agenzie Onu, attori della società civile. Oppure direttamente su iniziativa dell’Onu, ad esempio del Segretario generale. Aggiungo che alcune Giornate vengono istituite perché previste da risoluzioni più generali, e questo fa già capire che la Giornata è un pezzo di un percorso più ampio». Vellucci smentisce che il mondo della cooperazione e del volontariato sia sempre escluso. «L’ufficio o agenzia dell’Onu che ha proposto la Giornata ha poi la responsabilità principale di portare avanti le iniziative, ma ci sono diversi casi in cui si lavora con le Ong. Ho in mente la Giornata per l’eliminazione della povertà estrema (17 ottobre), in cui a Ginevra e a New York abbiamo sempre una grande collaborazione con "Atd Quart monde" (Ong presente in circa 30 Paesi)".
Si può avere un ordine di grandezza delle risorse, umane ed economiche, investite in queste Giornate? «L’eterogeneità delle iniziative rende impossibile un calcolo complessivo – spiega Vellucci –. Ad esempio alla Giornata per la memoria dell’Olocausto lavora per tutto l’anno un’apposita équipe, mentre ci sono casi di lavoro sinergico: le agenzie promotrici delle varie Giornate producono materiali. Poi è il Dipartimento per l’informazione a diffondere e adattare ai vari contesti, attraverso i suoi 63 centri sparsi per il mondo. Questi centri diventano "altoparlanti" per queste Giornate, e fanno un lavoro eccezionale. Pensiamo al centro di New Delhi, che è l’unico per tutta l’India ed è formato da 4 persone soltanto, che devono coprire un’area di un miliardo di persone. Un’altra cosa da considerare è che è difficile separare i costi della Giornata da altre voci di spesa: pensiamo alla Giornata Fao sulla fame: quella è anche l’occasione per lanciare il Rapporto, a cui si lavora tutto l’anno e che evidentemente ha dei costi. Senza gli eventi pubblici organizzati per la Giornata, il Rapporto avrebbe meno visibilità. Senza il Rapporto, la Giornata avrebbe meno impatto. Come si fa a separare le due cose?».Ragionamento che non fa una piega, ma si potrà almeno sapere qual è l’origine dei finanziamenti? «L’Onu, quando lancia una celebrazione, spiega che ogni agenzia o ufficio deve trovare le risorse al proprio interno. Oppure chiedendo a singoli governi. Sponsor privati sono rari, perché lo Statuto dell’Onu rende difficile ricevere donazioni. Non dimentichiamo, poi, che si riescono a fare grandi cose anche grazie alla generosità di testimonial famosissimi che non vogliono essere pagati». Rispetto alla singolarità dei temi, Alessandra Vellucci propone un esempio interessante: «Si è molto ironizzato sull’istituzione, nel 2013, della Giornata mondiale del Wc, il 19 novembre. Ebbene, ci sono 2 miliardi e mezzo di persone nel mondo che non hanno accesso a servizi igienici adeguati. Nel mondo c’è più gente con un cellulare che con un bagno. Questo tema è al centro degli sforzi di Oms, Unicef e altre agenzie. Perché non dovrebbe essere "degno" di una Giornata mondiale? Dunque se mi chiede di valutare in termini oggettivi e immediati l’impatto di queste giornate, io non so rispondere. Ma sono certa che un impatto esiste. Le Giornate portano azioni, progetti, denunce e soldi. Tutti ingredienti necessari se vogliamo risolvere i problemi dell’umanità».