giovedì 6 gennaio 2011
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«I cristiani martirizzati in Oriente, nel mondo musulmano e nel mondo induista, sono degli sconosciuti per la maggioranza dei francesi e per l’insieme degli europei». Parte da quest’amara riflessione, una lunga inchiesta che ha cercato di rompere Oltralpe il silenzio ancora diffuso sulle persecuzioni anticristiane. Raphael Delpard, giornalista e militante di lungo corso dei diritti umani, ammette fin dall’introduzione di essere ateo. Ma è stato spinto a scrivere dal bisogno di raccontare l’unica forma di barbarie contemporanea che molti media europei troppo spesso «rifiutano di raccontare». Pubblicata con il titolo La persecuzione dei cristiani oggi nel mondo (edito da Michel Lafon), l’inchiesta è il frutto di numerosi viaggi e di decine d’incontri spesso clandestini in una ventina di Paesi. Dall’Algeria fino alla Corea del Nord, passando per la Bielorussia, l’Iraq o l’Iran. Delpard sottolinea che in molti Paesi le persecuzioni hanno conosciuto di recente un’accelerazione inquietante. È il caso dell’Egitto, dove «gli attacchi assassini contro le chiese copte s’intensificano di anno in anno». Il volume di Delpard è uscito prima della strage di San Silvestro ad Alessandria e ricorda, fra gli episodi più gravi che continuano a tormentare la memoria della comunità copta, gli assalti avvenuti ad Alessandria nel 2006, una settimana prima della Pasqua ortodossa: «Armati di bastoni e di pietre, delle orde di fanatici musulmani, sotto lo sguardo impassibile dei poliziotti intervenuti solo di fronte ai marciapiedi già cosparsi di morti, hanno attaccato dei cristiani durante i funerali di un copto pugnalato il giorno prima». Negli ultimi anni, anche l’atteggiamento del potere centrale è parso sempre meno neutro. Delpard ricorda ad esempio che «il Cairo ha sospeso a tempo indeterminato l’istruzione di un caso di minorenni cristiane rapite, violentate, costrette a convertirsi all’islam e sposate a musulmani praticanti». Storie come quelle di Ingy Nagy Edwar e Theresa Ghattass, diciannovenni cristiane rapite e convertite in modo forzato, lasciano scie di dolore difficili da cancellare. È anche l’eco terribile di tanti episodi come questi, racconta Delpard, a spingere negli ultimi anni molti egiziani copti verso l’esilio. Ma in generale sono ancora tanti i Paesi in cui «occorre divenire temerari per dichiararsi cristiani». In Turchia, ad esempio, «conviene farsi dimenticare», confidano molti cristiani. In regimi comunisti come quello nordcoreano, poi, «i cristiani sono considerati come i peggiori nemici dello Stato». Un atteggiamento ostile che ha dato vita a un’autentica ossessione anticristiana: «In Corea del Nord, circolano per le strade dei poliziotti in borghese. Se si accorgono di un individuo che chiude gli occhi, sembra parlare a se stesso o meditare, si tratta per loro necessariamente di un cristiano che prega. Procedono allora all’arresto immediato senza fornire la minima spiegazione». Nel Paese, vivono almeno 200 mila cristiani e c’è chi parla di mezzo milione.Ma la stessa Europa non sfugge a forme di discriminazione più o meno gravi. La vita dei musulmani francesi che si convertono al cristianesimo, qualche migliaio ogni anno, «è un calvario». Mantenendo l’anonimato, un ventiseienne nato in Francia confessa che «i suoi genitori, a partire dalla sua conversione, gli voltano le spalle, i suoi amici non gli rivolgono più la parola, e peggio ancora, gli uni e gli altri lo accusano d’apostasia».Delpard ricorda che esistono solo stime più o meno attendibili sul numero di cristiani ancora in prigione per la loro testimonianza di fede in Paesi come Siria, Giordania, Yemen, Sudan, Etiopia e Cina. Risale solo a 3 anni fa un evento rimasto come una ferita indelebile nella memoria della minoranza cristiana in Eritrea: «Il 12 settembre 2007, dieci donne sono arrestate in piena preghiera e condotte in un campo militare dove dovranno subire quotidianamente sedute di tortura, con l’obiettivo di far loro rinnegare la fede cristiana».Dopo aver analizzato nel dettaglio una lunga serie di fatti e destini individuali, Delpard non rinuncia a mettere in guardia sui crescenti rischi futuri dell’attuale indifferenza, ancora diffusa in Occidente, verso il «mondo malato d’anticristianesimo». Per l’autore, occorre infrangere rapidamente il muro di gomma, dato che «restare in silenzio significa accettare il crimine come una sorta di fatalità». Del resto, non esistono scusanti: «I cristiani perseguitati sono lontani dal nostro sguardo, pensiamo talora per giustificare la nostra inazione. Che errore. Vivono a due ore appena dal nostro comfort!».
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