venerdì 13 maggio 2016
Francesco. Parole incise nel tempo
COMMENTA E CONDIVIDI
Si parte dall’intuizione del poeta Guido Oldani - «questo è il tempo della similitudine rovesciata, di cui il Papa è un fruitore creativo, quando afferma che la chiesa dev’essere come un ospedale da campo e la confronta con un oggetto…» - si passa attraverso l’analisi del linguista Giovanni Gobber, le suggestioni dello scrittore Eraldo Affinati, per approdare a una certezza che ai più pare politica, ma che ha un preciso profilo pastorale se non ecclesiologico. «Quelle di papa Francesco non sono parole pronunciate a caso. Ognuna è messa al servizio di un progetto pastorale preciso. Molto, molto preciso»: il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, intervenendo subito dopo i saluti degli organizzatori (il direttore Marco Tarquinio per Avvenire e la presidente Giovanna Milella) al dibattito promosso al Salone del Libro di Torino sulla nuova visione del linguaggio di papa Francesco non ha avuto esitazioni nell’inquadrare la “rivoluzione” di Bergoglio attraverso il passo dell’Evangelii Gaudium che era stato messo a tema dell’incontro coordinato dal giornalista Alessandro Zaccuri: «Il tempo è superiore allo spazio: le parole e i gesti del Papa come le sue scelte si comprendono solo se e quando le si colloca nell’orizzonte definito da questa semplice espressione, tutt’altro che retorica - ha spiegato - in quanto il pontefice intende aiutarci a costruire il popolo di Dio, ispirando precisi comportamenti. Oggi, nei processi sociopolitici si usa dare priorità allo spazio, preoccupandosi di occupare quelli di potere nel tempo presente, cristallizzando i processi, pretendendo di fermarli: invece dare priorità al tempo significa occuparsi di avviare i processi, piuttosto che possedere gli spazi, senza ansietà, con convinzioni chiare e tenaci. Agire in questo modo, come lui agisce, significa tra l’altro essere convinti che la Chiesa non appartiene a noi, ma al Signore». In questa prospettiva, i discorsi del Papa sugli ultimi, come la scelta di visitare un carcere nel Giovedì Santo, «sono tutti gesti comprensibili, che sorprendono e impegnano, anche noi preti; i gesti e le parole finalizzate a sconfiggere la cultura dello scarto e a promuovere quella dell’inclusione e dell’incontro implicano scelte concrete che coinvolgono anche l’economia - ha commentato il presule -, insomma non è retorica, anzi mi piace vedere nei lemmi del linguaggio papale altrettanti mattoni che servono a demolire atteggiamenti fortemente incoerenti dei cristiani». Mattoni che ristrutturano immagine e vita della Chiesa, ha ammesso monsignor Galantino: «quando parla dei cristiani da salotto stigmatizza comportamenti che hanno poco o nulla a che vedere col Vangelo, è vero. E quando vuole docce e dormitori intorno a San Pietro sta trasformando il senso stesso di quella piazza: chi ora ci va sa che non può distogliere lo sguardo dalle realtà richiamate dal Papa». Galantino sa bene che la rivoluzione linguistica è oggetto di critiche e accuse e non ha minimamente glissato sul tema: «Quando il Papa dice “chi sono io per giudicare?” c’è chi vi legge il manifesto del relativismo etico. Invece quella frase è puro Vangelo: quando Cristo si è trovato davanti all’adultera non l’ha incoraggiata a peccare ma non ha neanche accettato il perbenismo di quelli che la circondavano». E, con altrettanta chiarezza, ha rappresentato la vis comunicativa di Bergoglio con le parole usate da Charles Péguy a proposito di Victor Hugo: la parole non è la stessa negli scrittori, uno se la strappa dalle viscere, l’altro la tira fuori dalla tasca del soprabito: il Papa strappa le sue dalle viscere. Infatti, quando quelle parole le dice lui, converte le anime».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: