«Il ballo del centenario» resterà incompiuto. Lo scrittore Carlos Fuentes si era ripromesso di terminarlo nel “suo” Messico. Vi era appena rientrato dopo un periodo di incontri, conferenze e super-lavoro in giro per l’America Latina. «Ora potrò finirlo. Anche se a Città del Messico è un’impresa trovare il tempo per scrivere: ci sono la famiglia, gli amici, i pranzi della domenica», aveva detto l’autore appena una settimana fa ad
Avvenire, che lo ha intervistato in occasione dell’uscita in Italia di “Destino”, pubblicato dal Saggiatore. Vitale, estroverso, esuberante, a 83 anni – ne avrebbe compiuto 84 a novembre – Carlos Fuentes aveva in mente ancora tanti progetti, idee, romanzi. Eppure con un colpo di scena – come quelli con cui teneva i lettori col fiato sospeso fino all’ultima pagina – ieri, il celebre narratore – tra i più conosciuti del panorama latinoamericano – è morto. All’improvviso. Al rientro in patria, Fuentes aveva mostrato segni di stanchezza e malessere. Per questo, lo avevano ricoverato nell’ospedale Angeles del Pedragal. La ragione ufficiale era stata la necessità di fare alcuni accertamenti. Nella tarda serata di ieri, però, lo scrittore si è spento. Quasi in punta di piedi. Lasciando il Messico attonito e addolorato. Il presidente Felipe Calderón, su Twitter, si è detto rattristato dalla morte di questo autore «amato e ammirato». Fuentes descriveva il capo di Stato come un uomo «integro e intelligente» anche se criticava duramente la guerra al narcotraffico intrapresa dal governo. «Si devono trovare altre strategie pacifiche», non si stancava di ripetere l’autore. Che alla sua attività di romanziere abbinava quella di saggista, giornalista, sceneggiatore. Oltre al forte impegno sociale in favore dei più deboli. I bambini soprattutto, quelli poveri, i piccoli disabili, i ragazzini affetti da sindrome di Down. «Ogni società deve garantire salute e educazione a tutti i bambini. Se non c’è progresso», diceva lo scrittore di “La morte di Artemio Cruz” e “La ragione più trasparente”. Fuentes è morto in un momento cruciale per il Paese, devastato da un’assurda spirale di violenza che ha fatto quasi 60mila vittime in cinque anni. Fra sette settimane, verrà eletto il nuovo presidente. Fuentes più che sugli avvicendamenti dei governi credeva nella gente, nella capacità di mobilitarsi dei giovani messicani. «È accaduto in Africa del Nord. Può ripetersi anche qui. I ragazzi vogliono lavoro, educazione, opportunità – aveva dichiarato da poco l’autore –. Vogliono cambiamenti. E possono ottenerli, senza violenza».