giovedì 25 agosto 2022
Una stagione speciale per la talentuosa 17enne, ipovedente dalla nascita, figlia d’arte del musicista Bollani e della cantante Magoni al suo disco d’esordio “Primo tour”
La cantante e musicista Frida Bollani Magoni, 18 anni il prossimo 18 settembre

La cantante e musicista Frida Bollani Magoni, 18 anni il prossimo 18 settembre - Prandoni

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Frida Bollani Magoni è una delle artiste italiane più promettenti. Ha da pochi mesi pubblicato il suo album d’esordio, dal titolo Primo tour, in cui interpreta – in versioni piano e voce o solamente strumentali – brani che l’hanno formata: da Sting a Britney Spears, da Dalla a Leonard Cohen, e quest’estate ha girato l’Italia e l’Europa per suonarlo e cantarlo dal vivo. È alle soglie dei 18 anni (li compie il prossimo 18 settembre) e riscuote consensi sinceri, tanto che si è aggiudicata la Targa Mei 2022 come miglior esordio dell’anno. Ipovedente dalla nascita, sente la musica in maniera particolare. Si è esibita in luoghi importanti, per esempio al Teatro Ariston, in occasione Premio Tenco nel 2019, e lo scorso anno al Quirinale. Questa estate, speciale per Frida, volge alla fine e si può già tracciare un primo bilancio e fare delle considerazioni da “inizio carriera”.
Per esempio, nel suo disco cosa tiene insieme Britney Spears e Leonard Cohen? Passando per Sting, Dalla, Battiato, artisti diversissimi…
Sono delle scelte legate ai miei gusti musicali, canzoni che io avevo voglia di suonare, poi abbiamo preso il meglio delle registrazioni del mio tour. I brani sembrano omogenei ma sono molto diversi. Credo e spero che possano apparire omogenei nella performance, perché sono pezzi che mi piacciono moltissimo e che faccio a mio modo.
Cosa succede nei suoi live? Cosa deve aspettarsi chi viene a vederla dal vivo?
Spesso chi viene non ha sentito il disco e si deve aspettare un po’ di me attraverso canzoni non mie, ma che rappresentano il mio mondo. Dal vivo canto anche brani miei, ma quanto canto canzoni di altri cerco di dare il mio tocco e a volte mi capita che la mia versione risulti molto diversa dall’originale.
Cosa ha determinato il fatto che alcuni brani fossero solo strumentali? Per esemun pio quello di Robin Williams, Supreme?
La scelta se fare le canzoni strumentali o cantate è stata molto istintiva. Con Supreme è andata così: quello è un brano finito nella mia scaletta l’anno scorso. Veniva fuori qualcosa di diverso all’inizio, chiedevo quasi al pubblico quale versione potesse piacere loro, quale stile, anche perché io tendo a non dividere gli stili musicali, a non classificarli almeno, quindi questo scambio con il pubblico è stato molto divertente e proficuo e spero si senta nel disco.
Nella versione de La curafatta al Quirinale a un certo punto lei fa una pausa, che penso abbia molto significato. Nel tempo dell’intrattenimento, credo che i compositori e gli esecutori abbiano bisogno di un rapporto più umano con l’arte musicale. Le pause sono fondamentali, sono musica a loro volta. Che ne pensa?
Assolutamente, la si può definire una pausa performativa, che poi ha dato un valore aggiunto all’emozione, anche come forma di rispetto per il luogo e il momento: ecco, quella era una pausa che raccontava come mi sentivo in quel momento e credo abbia dato un valore aggiunto.
Il centro del disco è proprio la restituzione del momento live, della sua emozione, dell’attimo irripetibile. Per esempio Halleluja, con sua madre e suo padre, Petra Magoni e Stefano Bollani.
Questo deve fare soprattutto disco live, che non ha postproduzione, se non il missaggio e il mastering: deve essere vivo, trasmettere le emozioni che il pubblico in quel momento ha provato. Il pubblico non sapeva che sarebbe stato registrato, dunque è stato tutto molto naturale, per esempio quando ha cantato in Caruso. Vorrei che anche chi ascolterà il disco a casa si senta come se fosse a un concerto live.
Intanto cominciano ad arrivare i primi riconoscimenti, per esempio quello del Mei, che lei ritirerà a Faenza a fine settembre. Che vuol dire per lei essere un’artista indipendente?
Essere libera vuol dire tanto: mi piace pensare che il mio nome abbia già dentro un senso di libertà, lo immagino scritto “Freeda”. Sembra scontato ma è sempre bello ricevere riconoscimenti, sono molto contenta.
Lei è nata immersa nella musica, nel canto e nelle note degli strumenti suonati, tra cui soprattutto il pianoforte, ma che ricordi ha? Come se ne è appassionata?
Già piccolissima, anche se fino ai cinque o sei anni, secondo la mia famiglia, era presto per me prendere lezioni; soprattutto con quelle di canto ho iniziato più tardi. Da noi comunque c’era sempre molta musica, casa era piena di strumenti e come si può immaginare seguivo molti eventi dal vivo. L’ascolto e l’approccio fa bene, perché è sempre bello che i bambini abbiano a che fare con strumenti, per prenderne familiarità, o con l’ascolto della musica.
L’anno prossimo sarà il suo ultimo alla scuola superiore. Cosa ricorda dei suoi insegnanti e come concilia la carriera artistica con quella scolastica?
Ho avuto diversi insegnanti, sia di canto che di strumento e poi quelli a scuola. Ho sempre praticato molta musica a scuola; poi il professor Paolo Razzuoli, non vedente, mi ha insegnato la lettura in braille e quella è stata una fortuna. Si fanno due vite, dell’artista e della studentessa. Se l’artista sarà il mio il mio futuro, gli anni della scuola sono importanti per acquisire gli strumenti affinché questo avvenga.

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