Sarà in libreria l’8 novembre «Il disegno di papa Francesco» (Emi, pagine 128, euro 9,90) nel quale il direttore di “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro, prova a tracciare «il volto futuro della Chiesa» così come sta emergendo dai primi mesi del nuovo pontificato. Scritto a ridosso della Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro, il saggio – accompagnato dalla prefazione di padre Pepe di Paola, il «cura villero» molto stimato da Bergoglio – fa tesoro delle lunghe ore di conversazione con il Papa da cui Spadaro ha tratto l’ormai celebre intervista apparsa sulle riviste dei gesuiti di tutto il mondo. Anticipiamo qui uno stralcio del libro.Il Papa ha bussato alla porta di ciascuno non solamente attraverso i suoi gesti, ma anche attraverso un linguaggio che ormai risulta molto riconoscibile. A Rio de Janeiro il mondo ha potuto comprendere ciò che era già ovvio e ben noto per i fedeli di Buenos Aires: papa Francesco usa un linguaggio lontano dal paradigma dell'idea e dalla filosofia e decisamente innestato nel racconto acceso dalla vita. In fondo la sua stessa informalità è un modo per riportare i gesti del corpo e le parole, compresa la loro intonazione, nell’ambito della vita. Papa Francesco lo ha sottolineato incontrando i movimenti per la veglia di Pentecoste: «La comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza, e questo è l’amore. Non con le nostre idee, ma con il Vangelo vissuto nella propria esistenza e che lo Spirito Santo fa vivere dentro di noi». Per il Papa questa testimonianza comincia proprio dal suo corpo e dalle sue parole.Sarebbe dunque un grave errore confondere il linguaggio conciso di Bergoglio con la logica dello slogan. Semmai la sua
concinnitas è più vicina ai detti sapienziali, che sono brevi perché affilati e concreti, e per questo in grado di raggiungere l’interiorità. Il linguaggio di papa Francesco non è speculativo, ma missionario, attento all’interlocutore tanto quanto al messaggio, che è proferito non per essere «studiato» ma per essere «ascoltato», raggiungendo subito chiunque lo ascolti in modo che reagisca. Egli, in realtà, più che «comunicare» crea «eventi comunicativi», ai quali chi riceve il suo messaggio partecipa attivamente. In questo senso si ha una riconfigurazione del linguaggio che pone accenti differenti e priorità nuove.Questo è certamente un aspetto del magistero bergogliano che andrebbe approfondito. Influiscono sulla capacità espressiva del Papa certamente sia la formazione letteraria sia la formazione teologica. Tuttavia questi elementi rispondono in realtà più a un criterio di sensibilità personale e a un’istanza missionaria.Bergoglio «abita» la parola che pronuncia. Come egli non riesce a vivere da solo ma ha bisogno di una comunità, così la sua parola ha bisogno di far posto a chi gli sta davanti. Non è mai pronunciata per la sua bellezza, ma perché è in grado di creare una relazione evangelica. La parola di Bergoglio è figlia del
sermo humilis di sant’Agostino, perché vuol essere una «parola-casa», bella, accessibile e chiara, «soave». Per questo è sempre e comunque segnata dall’oralità, dal dialogo, anche se viene scritta. Le parole prendono «corpo».Per questo il testo scritto che ha davanti, anche nel caso in cui è redatto solamente dalla sua penna, pur necessario per la chiarezza, gli sembra sempre «stretto ». A volte la sua comunicazione si avvia in maniera apparentemente più rigida, ma in realtà è come se egli cercasse il feeling giusto, la sintonia più consona. Quando la trova, si vede che la comunicazione fluisce, accompagnata anche dai gesti che lo spingono naturalmente a staccare l’occhio dal foglio e a improvvisare, integrando a braccio o sfumando la riflessione verso la narrazione, il racconto, l’aneddoto, che sono tutte cose che innestano la vita e l’esperienza dentro il discorso.«Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita», aveva detto il Papa incontrando i movimenti ecclesiali nella veglia di Pentecoste. Qui in realtà stava citando implicitamente un romanzo da lui molto amato, che ha letto quattro volte e che ha con sé:
I promessi sposi. In particolare il capitolo che più ama, quello della conversione dell’Innominato, lì dove leggiamo: «La vita è il paragone delle parole». Ecco il punto: la vita è il paragone delle parole. Nel romanzo si parla di san Carlo Borromeo, per il quale, scrive Manzoni, «non ci esser giusta superiorità d’uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio». Questo capitolo dei
Promessi sposi, in cui si descrive la figura del cardinale Federigo nel suo incontro con l’Innominato andrebbe indagato meglio per ritrovare elementi della visione bergogliana.La forza della sua tensione comunicativa si comprende ancor meglio quando il Papa non pronuncia omelie o discorsi rivolti a tutti, ma parla a gruppi più ristretti di politici o vescovi, o in occasioni più circostanziate che prevedono un uditorio omogeneo. In queste occasioni, anche durante il viaggio in Brasile, il suo linguaggio muta e rivela un pensiero molto articolato e a tratti non piano. Ma in realtà è anche vero che i generi letterari non tengono più molto e ci possono essere elementi importanti nei discorsi di Francesco al di là della specifica natura del testo: che sia esso un’enciclica o una breve omelia.Papa Bergoglio, in definitiva, rivela un’attitudine spiccata alla conversazione, non alla lezione. È in questo tipo di
logos che per lui si ha la comunicazione del Vangelo. Lo dimostrano, tra l’altro, le sue ampie riflessioni sull’importanza dell’omelia e sul suo stile, che deve essere del tutto plasmato dal popolo che ha ascoltato la parola di Dio.