La filosofa tedesca Svenja Flaßpöhler, che parlerà al Salone del Libro di Torino - Svenja Flaßpöhler / © Johanna Ruebler/Klett-Cotta
Svenja Flaßpöhler è filosofa, giornalista e scrittrice. Dirige a Berlino la rivista Philosophie Magazin. A partire da un suo saggio nel 2018 si è sollevata un’ampia discussione per le critiche al movimento MeToo. Del suo ultimo volume Sensibel (Klett-Cotta) parlerà al Salone domani con il filosofo Giovanni Leghissa.
Cosa significa oggi avere un cuore selvaggio?
Il cuore selvaggio agisce per inclinazione non per dovere. Secondo Kant agisce, quindi, al di là della morale, che per gli Illuministi è strettamente legata al dovere. In effetti il cuore selvaggio può amare appassionatamente, ma anche essere mortalmente incosciente e addirittura arrivare a uccidere per amore. Perciò, proprio in questi nostri tempi altamente pericolosi, non gli si dovrebbe dare troppo potere. La guerra in Ucraina è legata a una sofferenza umana indescrivibile. Il “cuore selvaggio” è portato a unirsi agli ucraini. Però sappiamo che, proprio ora, abbiamo bisogno anche della fredda ragione, per non scivolare in una Terza guerra mondiale. La sensibilità è un fenomeno assai ambivalente.
Troppa, sostiene lei, potrebbe avere effetti negativi sulla società. E propone di trovare un equilibrio con la resilienza. Come?
La sensibilità intesa come suscettibilità è diversa dalla sensibilità intesa come empatia, ciò di cui abbiamo appena parlato. Quest’ultima è diretta verso l’esterno, agli altri, al mondo a cui mi apro. L’altra, al contrario, si riferisce al mio stato di nervi. È associata alla fragilità, all’irritabilità. In questa modalità non mi apro al mondo, piuttosto me ne ritraggo. Mi proteggo dalle imposizioni ovvero da quelle che percepisco come tali. Il concetto di violenza con valenza sessuale comprende sostanzialmente tutto: dai complimenti in ufficio a una fugace toccata al ginocchio, a un approccio malriuscito. Il concetto di violenza viene estremamente esteso. La conseguenza è l’inasprimento delle leggi e che lo Stato si introduce sempre più profondamente nelle relazioni sessuali. Anche nella discussione sperimentiamo che i confini dell’accettabile – dunque del dicibile – sono tracciati in modo sempre più stretto. Ma se vogliamo continuare a vivere e interagire tra noi in libertà una società non può sfinirsi nel tentativo di proteggere gli individui.
Cosa pensa della Cancel culture?
È giusto scoperchiare e porre a tema il razzismo, anche quello inconsapevole. E naturalmente a nessuno si chiede di dover sopportare di essere discriminato – in strada, in ufficio, su un palco – per il colore della pelle o per il genere. Però intanto sperimento che già molti percepiscono come inaccettabile ad esempio che si analizzi criticamente il gender. O che si mettano in luce i punti deboli di un movimento come il MeToo. Spesso non contano più gli argomenti, ma solo la presunta mentalità giusta. Nonostante ciò sarei cauta sul concetto di Cancel culture. Non ogni critica espressa a voce alta è Cancel culture. In effetti anche tra chi usa spesso e volentieri questo concetto c’è un alto grado di suscettibilità. In una democrazia liberale dobbiamo ammettere anche una certa durezza nel dibattito.
Dopo il Covid siamo forse diventati tutti un po’ più sensibili. Quali le conseguenze a lungo termine?
La pandemia da voi in Italia ha causato grande sofferenza. Le immagini di Bergamo sono state choccanti. Ora vediamo in Cina quale sofferenza viene causata dalla politica del Covid-Zero che per un certo tempo è stata chiesta in Germania. Durante la pandemia molti dicevano: ogni morto è un morto di troppo, dobbiamo proteggere la vita e se necessario anche sacrificare la nostra libertà. Ora in tempo di guerra spesso sono le stesse persone a dire: gli ucraini difendono anche la nostra libertà e perciò dobbiamo dargli le armi che gli servono, anche se così facendo moriranno moltissime persone. Una svolta che mi interessa molto. E mi preoccupa anche.
Siamo diventati anche troppo sensibili alle immagini della guerra che ci sommergono...
Ci toccano e sconvolgono. Quelle da Bucha erano orribili e comprensibilmente hanno alimentato la predisposizione ad aiutare l’Ucraina. Dobbiamo riconoscere la loro verità nella loro totale brutalità. Allo stesso tempo, le immagini in tempo di guerra svolgono una funzione. Anche il presidente ucraino persegue lo scopo di mobilitare il suo popolo e di radunarlo dietro di sé. Perciò si mette in scena in un modo particolare. Notare queste relazioni non significa assolutamente relativizzare l’offensiva contro l’Ucraina che è contro il diritto internazionale. La guerra di Putin è imperdonabile. Nonostante ciò dobbiamo rimanere con un atteggiamento critico in tutte le direzioni.