Nel cast non mancherà un ancora poco paffuto Mao. Il titolo è altisonante –
La fondazione del partito – e l’opera promette, non senza una buona dose di retorica patriottica, di narrare i primi vagiti del partito comunista cinese, dal 1917 fino al 1921, suo anno ufficiale di nascita. C’è nelle stanze dei bottoni di Pechino un’attenzione quasi maniacale alle date e alle ricorrenze: il film uscirà nel 2011 proprio in coincidenza con il 90° anniversario della "fondazione" del partito comunista. Al
China Film Group, la società cinematografica cinese che lancerà il prodotto, hanno ben chiaro l’obiettivo da eguagliare (o addirittura superare): il successo del 2009 di
The founding of a Repubblic, film che – i dati sono del quotidiano
Chinadaily – ha incassato 451 milioni di yuan (61 milioni di dollari) e che soprattutto ha avuto un merito storico: l’aver sgretolato il record dell’inossidabile
Titanic come il film più visto in Cina. Quello che sembrava un "impero" zoppicante si sta trasformando in un’industria che punta a insidiare il primato di Hollywood (Usa) e Bollywood (India). Nel 2009 sono stati prodotti in Cina 456 film (56 in più rispetto all’anno precedente). Ai film destinati alle sale, si sommano 27 cartoni animati, 19 documentari, 52 film di divulgazione scientifica e 110 lungometraggi destinati alla televisione. Alla crescita numerica delle produzione corrisponde un aumento delle dimensioni industriali. L’impennata, negli ultimi sette anni, del cinema cinese è stata vertiginosa. Secondo i dati forniti dalla Sarft, la
China’s State Administration of Radio, Film and Television, nel 2009 gli incassi sono stati pari a 6.21 miliardi di yuan (909 milioni di dollari), più 44% rispetto al 2008. Nel 2004 erano pari a 1,5 miliardi di yuan. L’incremento è stata del 30%. Non solo: l’industria cinematografica promette di raddoppiare gli incassi nel giro di tre anni. In Cina si lavora per superare le deficienze strutturali che "zavorrano" la crescita del settore. Nel 2009 sono stati aperti 90 nuovi cinema multiplex: l’obiettivo è aumentare l’offerta e spingere i cinesi a frequentare più assiduamente le sale cinematografiche. Il gap dal punto di vista strutturale con gli Stati Uniti resta al momento incolmabile. Negli Usa ci sono 5400 cinema per un totale di 39mila schermi. In Cina i cinema sono 1635 per 4800 schermi (nel 1998 erano appena duemila). Un’offerta ancora troppo esile se si considera che i cinesi sono 1,3 miliardi. Intanto, in 15 milioni sono già andati a vedere
Afterschock, ricostruzione su celluloide di due drammatici terremoti in Cina, quello del 1976 a Tangshan e quello del Sichuan due anni orsono: il quotidiano francese
Le monde l’ha qualificato come «una catarsi individuale» per i cinesi, colpiti da queste enormi sciagure naturali: nel ’76 i morti furono 240 mila, nel 2008 90 mila. Nelle stanze dei bottoni di Pechino sanno però che c’è un ingrediente che è finora mancato nella scalata cinese all’economia mondiale: l’aspetto "glamour". Il cinema Usa, e quella sorta di macchina seduttiva che è Hollywood, è stata una potentissima "arma" di diffusione dell'
american way of life. Grazie alle pellicole viaggiavano e viaggiano (conquistando il mondo) anche i valori della società a stelle e strisce. Per gareggiare alla pari con gli Usa, il Dragone sa che deve innanzitutto potenziare dal punto di vista strutturale l’industria cinematografica. Dietro c’è sempre la "mano" dello Stato, che non solo non abdica la suo ruolo di "grande regista" ma continua a possedere gli studi e che sta potenziando la rete di distribuzione delle pellicole (oggi sono trenta i distributori di film
made in China). Il regime, pur di incrementare le dimensioni del cinema nazionale, sta poi aprendo al capitale privato. Diverse società cinematografiche si stanno lanciando sulla Borsa alla ricerca di un’iniezione di capitali. Il ragionamento è semplice: più capitali, più maestranze, più film. E più incassi. Coma ha scritto la rivista
Beijing Review, la
Huayi Brothers Media Corp, una delle più grandi società di produzione, è stata quotata sulla borsa ChiNext di Shenzhen, neonato listino dei titoli tecnologici e delle piccole imprese. Stesso discorso per la
China Film Group. Polybona, uno dei principali distributori del Paese, programma addirittura un lancio sui mercati finanziari americani nel 2011. Destinazione: la Borsa di New York. La
China Minsheng Banking Corp. Ltd. ha da parte sua concesso prestiti non garantiti a 23 noti registi, ognuno da 5 milioni di yuan (circa 700mila dollari). Insomma l’intreccio tra capitale privato e industria del cinema diventa sempre più stretto. E produttivo. Nonostante l’apertura e le incursioni in nuovi generi – a partire dalla commedia –, è il cinema di propaganda, e in particolare il genere storico, a dominare il mercato cinese. Come ha scritto Maria Barbieri sul sito
fareastfilm, «con titoli altisonanti quali
The Founding of a Republic,
Tiananmen,
The World Shaking eccetera, che sembrerebbero quanto di più lontano dall’immaginario contemporaneo cinese, questi film hanno invece raccolto consensi quasi unanimi, coniugando il film politico, patriottico, di propaganda ed anche popolare. Sembrerebbe che gli enormi cambiamenti avvenuti in Cina negli ultimi decenni con il conseguente allontanamento del Paese dal fervore ideologico non abbiano intaccato il fascino del cinema di vecchio stampo che racconta il Paese ideale invece del Paese reale». All’interno di questo filone, c’è poi un tema che non sembra conoscere cadute di popolarità: la rivalità storica con il Giappone. Come segnala il giornale giapponese
The Daily Yomiuri, «più del 20 per cento dei film e oltre la metà delle produzioni televisive "made in Cina" si concentra su temi legati alla guerra sino-giapponese». Cosa spiega tanta insistenza su un tema che comunque rappresenta una ferita mai risanata nell’animo cinese? Per il quotidiano del Sol levante sono due i dati inquietanti. Primo: «Queste produzioni sono aumentate nettamente sia in termini di quantità che di qualità». E secondo: esse «sono destinate a rafforzare la legittimità del Partito comunista cinese». Anche se i militari giapponesi non sono più schiacciati sugli stereotipi come in passato, «i temi principali nelle produzioni cinesi – che l’esercito giapponese rappresenta il male assoluto – non sono mutate». Il cinema cinese insomma cambia, ma non troppo.