Tra i sedici lungometraggi che da settimana prossima si contenderanno l’ambita Palma d’oro al festival del cinema di Cannes vi è anche un film "monastico". Il suo titolo è
Des hommes et des Dieux e racconta la drammatica vicenda dei sette monaci trappisti assassinati a Tibhirine, in Algeria, nel 1996. Una vicenda, questa, che scosse la laicissima Francia e che ancora oggi rimane oggetto di indagini, giudiziarie e giornalistiche, nell’Esagono. Già, perché la ricostruzione classica di quella strage, nel contesto della guerra civile algerina (centocinquantamila morti in pochi anni), inizia a scricchiolare: secondo la tesi ufficiale, i monaci vennero rapiti dal Gia (Gruppo islamico armato) nella notte tra il 26 e il 27 marzo del ’96, per poi essere uccisi nelle settimane successive. Ma i loro corpi non vennero mai rinvenuti, se non le teste, decapitate, il 30 maggio. Che qualcosa sia ancora oscuro lo testimoniano i diversi dettagli che la stampa francese – se ne sono occupati in diverse riprese "Le Figaro", "Le Monde" e "La Croix" – rivela di tanto in tanto. Fondamentale la dichiarazione dell’incaricato militare dell’ambasciata francese ad Algeri in quegli anni, il generale François Buchwalter, che in una fase processuale (lo scorso anno) ha qualificato come «un errore dell’esercito algerino» il massacro dei sette religiosi. A produrre la sceneggiatura di
Des hommes et des Dieux è stato Étienne Comar, il quale si è avvalso di una consulenza monastica particolare, ovvero quella di Henry Quinson, un religioso di Marsiglia balzato alla notorietà per il suo singolare iter di vita: da operatore di borsa a New York a frate cattolico, il tutto raccontato in
Dallo champagne ai Salmi.
L’avventura di un banchiere di Wall Street diventato monaco di periferia (San Paolo). Tibhirine e i suoi monaci martiri, dunque, sbarcano a Cannes: regista del film – coprodotto da Why Not Productions, Armada Films e France 3 Cinéma – è il francese Xavier Beauvois, quarantadue anni, già vincitore di un premio a Cannes per il suo
N’oublie pas que tu vas mourir. «Sono rimasto molto colpito quando mi sono documentato sulla storia di questi religiosi – ha spiegato al quotidiano "Le Parisien" –. È un soggetto forte e molto sensibile. Questi sette monaci erano molto apprezzati nella regione dove abitavano, erano rispettati dalle altre comunità, avevano ottime relazioni con i musulmani». La produzione è stata girata tra dicembre e gennaio in Marocco, precisamente nel vecchio monastero di Meknès, visto che la situazione in Algeria non era ancora sicura. Tra i protagonisti, si segnala l’attore Lambert Wilson (già impegnato in
Matrix Reloaded dei fratelli Wachowski nel 2003), che offre il suo volto alla personalità più forte della comunità di Notre-Dame d’Atlas (questo il nome del complesso monastico), ovvero il priore Christian de Chergé, autore di quella celebre preghiera di
Ad-Dio in cui adombrava già la propria morte violenta. Il film prende in esame la vita quotidiana dei monaci durante il periodo "caldo" della guerra civile algerina, ovvero dal 1993 (anno in cui i terroristi del Gia diedero uno sfratto ultimativo agli stranieri residenti nel Paese nordafricano) al marzo 1996, quando i trappisti furono rapiti dal loro monastero. «Da loro ho imparato cosa vuol dire il sacrificio cristiano, visto che restarono a fianco della gente normale, loro amica, rischiando la vita»: così rievoca i sette monaci René Guitton, autore del recente
Cristianofobia (Lindau) e ora impegnato in una nuova edizione del suo
Si nous taisons dedicato al "martirio dei monaci di Tibhirine" (Calmann-Lévy), a suo tempo insignito del premio Montyon dell’Académie française. Fu proprio la decisione dei sette trappisti di restare a Tibhirine mentre imperversava la bufera del terrorismo islamista ciò che rese la loro testimonianza di solidarietà drammaticamente eloquente anche nel panorama francese. E per il momento le reazioni al film di Beauvois sono state, in sostanza, positive: «Se la sceneggiatura ci ha deluso – afferma Hubert de Chergé, fratello di Christian, il priore di Tibhirine – bisogna riconoscere che il film trasmette qualcosa del messaggio che i fratelli ci hanno lasciato». E Pierre Laurant, nipote di frére Luc, un altro dei monaci assassinati, ammette: «Devo riconoscere al film una qualità: resta fuori dalle polemiche politico-giudiziarie e chiarisce, senza idealizzare nulla, il senso di questa presenza monastica che si è spinta in avanti fino al martirio». Sul sito MissiOnLine.org del Pime padre Jean Marie Lassausse, della Mission de France, da dieci anni a Tibhirine, scrive: «Questo film insiste sulla fedeltà dei monaci a questa popolazione e a questa terra. Fedeltà che presuppone la durata. Questa pellicola, che ripropone la vita, la scelta e il dramma dei monaci i Tibhirine, insistendo sulla fedeltà sino al sangue, rilancia una sfida che continua a interpellarci. Il "vivere-con" ha questo prezzo ed è sempre d’attualità».