Quante volte ci è capitato di incrociarne nel nostro cammino, a lato di una strada, lungo un sentiero, a fianco di un’autostrada, da un finestrino di un treno. Abitazioni non più abitate, edifici non più agibili. C’è chi di queste ne ha fatto una passione di osservatore curioso. E di scrittore. Mario Ferraguti, romanziere e regista, ne racconta con grazia e profondità in
La voce delle case abbandonate il cui sottotitolo –
Piccolo alfabeto del silenzio– testimonia la capacità di osservare e rendere conto di qualcosa che ai più potrebbe sembrare muto e senza valore (Edicicloeditore, pp. 96, euro 8,50). Invece Ferraguti, percorrendo le colline e le montagne delle sue zone – l’Appennino tosco-emiliano – ci offre una fenomenologia delle abitazioni non più vissute che mostra veramente una capacità di osservazione e di descrizione non comuni. «Avevo visto le case, mi mancavano le cose» ammette Ferraguti quando rievoca l’inizio della sua passione. E così impariamo a conoscere gli odori delle case che non hanno più chi le abita («A Ca’ Scapini ho impatto l’odore delle case abbandonate, che è un odore di muffa, di legni, cortecce e di foglie bagnate, un odore di marcio che diventano tutte le cose, di quella terra buona e fertile capace di far rinascere tutte le cose»); apprendiamo che negli edifici diroccati la vita si capovolge (lì «tutto diventa il contrario; l’erba, che dovrebbe stare per terra, cresce sul tetto, lo riempie fino a diventare un prato; con l’erba anche il muschio, ma il muschio si capisce già dalle cortecce degli alberi che cerca, se può, di salire»). Chi frequenta le case abbandonate capisce presto chi si può essere ladro oppure osservatore: «L’esploratore a differenza del ladro è curioso di sapere chi abitava la casa; fruga nelle credenze, dentro ai comodini, nelle tasche dei pochi vestiti e nei cassetti, guarda le foto, legge le lettere e a poco a poco magari gli si presenta un’intera famiglia, tracce di lavori antichi, amori e tradimenti, diari di lunghe malattie». Ferraguti ci racconta anche (quasi) l’impossibile, o meglio il verosimile: «In una casa abbandonata del passo Cento Croci, dove ho trovato chiuso nel cassetto un cavalluccio marino, ci ho dormito ». Mentre di solito pratica una ricerca curiosa: «Cercare l’oggetto più strano, quello più particolare, che magari lì non c’entra niente ma che è talmente una sorpresa». E cosa ha trovato l’esploratore d’Appennino in anni di frequentazioni? Le tante biciclette in una casa diroccata in montagna, le stecche in ferro per trovare l’acqua, «un cucchiaio che aveva preso la forma della bocca, lo scopino fatto con le piume di gallina che sembrava lo scettro di un monarca africano». Cosa insegna andare per ruderi che furono case? Forse che il possesso non è tutto e che il possedere non deve diventare un dogma. Lo fa intendere Ferraguti, con tocco di ironia amara, in questo passaggio: «Scendo a Fornovo e vedo una villa bellissima, forse del Settecento. Per entrare c’è un cancello aperto con una scritta piccola proprietà privata ormai tutta arrugginita; una scritta che non crede neanche lei in quello che dice».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Narrazioni Luoghi abbandonati, spesso ridotti a ruderi, ma carichi di memorie ormai sepolte Un singolare esploratore entra in questi vuoti che odorano di muffe, di legni e muri umidi La curiosità di sapere chi vi abitò