È quanto ha
stabilito un giudice americano, dopo la class action intentata nel
2011 da cinque utenti del colosso fondato da Marc Zuckerberg. Secondo
il magistrato Richard Seeborg, l'uso di foto e dettagli personali di
utenti Facebook, trasformati in ignari testimonial pubblicitari, non
ha arrecato loro alcun "danno significativo".
Con le Sponsored Story, attivate nel 2011, se un utente clicca
su "Mi piace" sulla pagina di un brand rischia di ritrovarsi in un
elenco di "sponsor" del prodotto con la pubblicazione della propria
immagine e del proprio nome. L'iniziativa del Social network cavalcava la tendenza sempre più pervasiva volta all'individualizzazione sempre più spinta della pubblicità. Oltre a suggerirti le cose che puoi trovare negli esercizi commerciali vicini a dove ti trovi, ecco che ti viene anche proposto quello che le persone con cui hai maggiore familiarità trovano interessante o, magari, hanno acquistato. La scommessa è che questo valga di più, quanto a persuasività, del sorriso sornione di George Clooney o dello sguardo seducente di Charlize Theron.
Secondo la Corte, Facebook, utilizzando
in tutto 150 milioni di utenti come testimonial involontari, ha
guadagnato 73 milioni di dollari, a fronte di un risarcimento
complessivo da 20 milioni, che prevede, oltre al "gettone" da 15
dollari, il pagamento delle spese legali e l'onorario delle
organizzazioni che si occupano di tutela della privacy. In fin dei conti, proprio bruscolini...