Janice Perlman è una di quelle persone che fanno sperare per il futuro dell’umanità. Perché questa antropologa americana, autrice nel 1976 di un testo fondamentale sul fenomeno della marginalità urbana
Il mito della marginalità urbana, povertà e politica a Rio (pubblicato dalla Jaca Book e introvabile) ha continuato con estrema coerenza a occuparsi di favelas e ha appena prodotto uno dei testi più utili e completi sul fenomeno
Favela, four decades of Living on the Edge in Rio de Janeiro (Oxford Un. Press) -
Favela, quarant’anni di vita ai margini a Rio de Janeiro. I quarant’anni di cui Janice Perlman parla sono stati vissuti direttamente, vivendo con le famiglie delle favelas, conoscendone e condividendone problemi e soluzioni, speranze e disillusioni. Arrivata giovanissima in Brasile con i Peace Corps (ma in una compagnia di animazione teatrale) si appassiona al fenomeno urbano di un abitare sui "morros" sulle colline ripidissime di Rio, oppure nelle zone non appetibili, rive di una lagune, discariche, terreni demaniali. E fin dall’inizio è capace di distinguere tra la realtà del vivere in una favela e la sua mitizzazione. Sicuramente le favelas dimostrano la capacità della gente di darsi un habitat e di costruire un insediamento vero e proprio, ma soprattutto di rispondere al bisogno di un tetto nei modi che nessuna politica pubblica di case popolari potrebbe offrire. In più le favelas di Rio spesso sono sorte in zone dal punto di vista panoramico incredibili, sulle scoscese pareti dei "morros" (non bisogna dimenticare che Rio è una città avvolta dalla foresta tropicale, dalla "mata atlantica" di cui le colline scoscese sono parte). Ma a fronte di questa capacità popolare c’è una situazione difficile, spesso sospesa tra il pericolo degli sgomberi ed i rischi degli smottamenti nella stagione delle piogge. Janice Perlman dopo quarant’anni di vita e di studio tra le favelas crea un istituto "The Mega Cities Project" per studiare il fenomeno della marginalità urbana come fenomeno mondiale. In Asia come in Africa, come in America Latina favelas, bidonvilles, slums, barrios marginales sono il modo con cui si sta affermando la rivoluzione urbana che porterà tra dieci anni - secondo le stime delle Nazioni Unite- ad un mondo prevalentemente urbano e ad una povertà prevalentemente urbana. Si stima che al 2025 ci sarà un incremento della popolazione urbana mondiale del 71% (5 miliardi di persone su una popolazione di 8). Oggi in America Latina il 31% vive in slums. In Africa il 71%, (il 25 % nel Maghreb) in Asia il 59% . Rio aveva nel 2000 6 milioni di abitanti, di cui un milione in favelas. Dal 2000 al 2005 questo rapporto è aumentato in favore delle favelas che crescono ad un ritmo 5 volte maggiore del resto della città. Janice Perlman ha vissuto a cavallo tra tre generazioni di favelados - e questo è il suo preziosissimo contributo - e quindi ha visto la nascita e la morte di intere favelas come "Catacumba" e la trasformazione di altre come Nova Brasilia, Duque de Caxias, ma anche di altre più note come Rocinha. E ha visto l’attuarsi di politiche differenti, da quelle che stigmatizzavano le favelas con l’espulsione degli abitanti a quelle che le trasformavano in quartieri oggetto di progetti internazionali e nazionali di "improvement", di miglioramento e adeguamento, fino al mito della "favela chic" e al suo contraltare terribile della guerra dei narcos dentro alle favelas stesse. La differenza tra il mito e la realtà sta nelle parole degli intervistati dagli anni ’70 ad oggi (ritrovati con paziente assiduità oppure frequentati in amicizia) . Nelle favelas si vive, ci si organizza, si crea comunità e città, ma restano dei luoghi stigmatizzati, separati dal resto della città. Chi riesce a uscirne non vi torna facilmente e tra il resto delle città e le favelas c’è un gap di immaginazione sociale enorme. Le politiche pubbliche spesso oscillano tra l’intervento violento della polizia e dei bulldozer e l’appeal internazionale che le promuove a "social issues" come fiore all’occhiello delle nuove presidenze da Lula a Dilma. La Perlman è chiara nel rifiuto di qualunque mitizzazione della marginalità, ma si batte per la de-criminalizzazione dei favelados e lavora assiduamente per capire quali politiche davvero ne migliorano le condizioni: ad esempio la proprietà non è più una questione importante, mentre lo sono i diritti d’uso, un po’ l’idea della favela come "bene comune". Ed è certamente a favore per riportare le favelas all’interno della vita della città con interventi coraggiosi e anche architettonici come quelli perseguiti da un bravo architetto Argentino , Jarauta che pensa (ma non è il solo) a collegamenti fisici, ponti, strade, funivie. Questo patrimonio di 40 anni di vita e di
fieldwork serve non solo qui, ma nel resto del mondo costruito dai marginali, negli slums di Bombay come nell’enorme città slum di Lagos. Smantellare il mito, offrire analisi di realtà concrete serve ad operatori - architetti, urbanisti ed amministratori, ma soprattutto agli abitanti per rendersi conto del loro potere di speranza legato ad una prospettiva dell’abitare come parte della dignità umana.