lunedì 12 gennaio 2015
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Più di un’Expo: una grande e originale manifestazione di architettura contemporanea. Infatti nelle mostre dedicate all’arte del costruire sempre si vedono solo riproduzioni in scala, disegni, rendering, immagini di vario tipo, ma non edifici veri e propri: invece nel grande recinto di Expo 2015 i Paesi partecipanti presenteranno architetture vere, abitabili, transitabili. Il meglio della loro capacità progettuale e delle tecniche edilizie.Beninteso, a pochi mesi dall’apertura non c’è ancora molto da vedere, perché tutti gli edifici sono prefabbricati e vengono montati in pochi giorni. Col meglio della tecnologia e i più raffinati dei materiali, a partire dal legno. Questo infatti, anche se usato dal tempo delle palafitte, oggi è strutturato dalla tecnica lamellare e dalle lavorazioni computerizzate per dare luogo a complessi di notevoli dimensioni e di forme originali, espressive della sensibilità e delle propensioni di ogni Paese nel campo che li unisce tutti: la produzione di alimenti, il settore primario dell’economia.Vi sono i progetti, già da mesi visitabili online: ed ecco dunque padiglioni in forma arborea, di semi o di chicchi quali segni di scultorea valenza; vi sono forme organiche tondeggianti e troneggianti in viluppi fantastici; vi sono strutture lineari che invitano a fluire, e altre accentratrici e centripete che invitano a restare. Alta tecnologia e approcci etnici, razionalismo ed espressionismo si alternano e si uniscono. Ogni progetto a cercare di esprimere il meglio della cultura nazionale che rappresenta. Ma tra tutti spicca il padiglione cinese ufficiale (ve ne sono altri di organismi privati), perché è simbolico e lieve, tecnologico e tradizionale, semplice e chiaro in un equilibrio mirabile in cui segno, senso, simbolo, tecnica, antico e moderno si fondono in modo equilibrato. Il profilo a onda che si protende in linee leggermente convergenti, immediatamente ricorda i copricapi dei contadini che lavorano nelle risaie, ma rivisti con sapienza tecnologica evidente nelle "tegole" metalliche posate sull’alta e leggera struttura lignea: non c’è la macchinosità di certe architetture che puntano tutto sull’impronta high-tech e si riducono a inutili complicazioni; né c’è l’ingenua povertà di idee di chi, per non sfuggire al senso etnico, propone solo figure spoglie, di scarso impatto.
Tra le tante altre proposte si segnala il padiglione Italia, l’unico che resterà dopo la conclusione dell’evento. Progettato da Studio Nemesi come una "foresta urbana" dove la figura predominante è quella di brulicanti ramificazioni, è diviso in quattro blocchi: una zona espositiva, un auditorium, uno spazio di rappresentanza e una sala conferenze. E chissà che nel complesso intrico di rami e radici, accavallati tra loro come in competizione per emergere (può ricordare un poco il dramma di muscoli e spire che lottano per la vita nella scultura del Laocoonte) non si possa cogliere anche un’eco del momento agonico che attraversa il nostro Paese.Ed eccoci al padiglione della Santa Sede: di notevole eloquenza nella forma generale e nelle parole che emergono dalle superfici. «Non di solo pane vive l’uomo...». la citazione evangelica che ispira il progetto rende con chiarezza il messaggio. La Chiesa si presenta come Alma Mater che parla allo spirito e invita a un dialogo fecondo tra gli uomini e col creato: l’atto del nutrire è qui trasposto sul piano trascendente secondo il motto «Non solo Pane. Alla tavola di Dio con gli uomini». Una proposta conviviale che porta un momento di riflessione profonda entro un contesto di stampo fieristico che inevitabilmente sarà da molti interpretato solo come occasione di consumo.Terminata l’Expo, tutti i padiglioni, tranne quello italiano, saranno smontati. Peccato, perché molti sono piccoli capolavori e in ogni caso sono tutti rappresentativi di questo evento che unisce i Paesi del mondo. Perché dunque non riedificarli nei luoghi di origine, e mantenerli a testimonianza di un legame stabilito nel 2015, per perpetuare l’auspicio di una collaborazione per nutrire il pianeta in modo sempre più adeguato sul piano qualitativo e quantitativo? Così che il gesto progettuale non sia effimero, ma resti come espressione di una riconciliazione sotto gli auspici dell’essenziale: il cibo è un fattore primo della vita. Quando c’è carestia può essere occasione di scontro: ma nello spirito dell’Expo è strumento di riconciliazione e di collaborazione.
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