Il dono come terza alternativa fra altruismo ed egoismo. «L’egoismo è un essere per sé, l’altruismo è un essere per l’altro. Il dono appartiene alla dimensione intermedia dell’essere con l’altro». A spiegarsi in questi termini, secondo una logica sviluppata fra Ottocento e Novecento dall’antropologo e sociologo francese di origine ebraica Marcel Mauss, è Elena Pulcini, ordinario di filosofia all’Università di Firenze. Autrice di libri e studi su questo argomento, lei stessa ricorda di essere vicina all’associazione
Mauss (acronimo di Movimento antiutilitarista in scienze sociali) che unisce studiosi che si rifanno al maestro transalpino. A Pistoia, il 25 maggio prossimo, in occasione della giornata di apertura della terza edizione del festival di antropologia "Dialoghi sull’uomo" (cui interverranno anche Enzo Bianchi, Luigino Bruni, Salvatore Natoli e Stefano Zamagni), Elena Pulcini affronta il tema "Perché si dona: altruismo o passione?".
Non è vero che si dona perché si ha piacere a fare del bene?«Penso che le cose siano un po’ più complesse. Il dono non parte da un atteggiamento di bontà, ma da una forte apertura verso l’altro, dal desiderio di collegarsi all’altro. È passione per l’altro (e veniamo al titolo del mio intervento a Pistoia) intesa come desiderio di appartenenza, di legame per una più ampia realizzazione del sé. Non vi è l’egoismo di chi pensa solo ai propri interessi, ma nemmeno il sacrificio o l’oblio del sé come in certe forme di altruismo».
Intende il dono come una certificazione del mio bisogno dell’altro?<+tondo>«Sì, ma non è uno scambio in senso economico. Non è simmetrico. Presuppone una reciprocità asimmetrica. Dono qualcosa di me perché sento il bisogno di legarmi. Sento il legame come bene in sé, come il fine per costruire una società ricca in termini di rapporti umani, perché io mi considero solo in relazione con l’altro. Il problema della società attuale è che ci si rapporta agli altri in maniera strumentale, per interesse».
La differenza è in una diversa consapevolezza del sé?«Siamo abituati, dall’epoca dei lumi, a coltivare l’individualismo, l’autosufficienza, ci consideriamo sovrani di noi stessi in nome dell’utile e del profitto. Abbiamo sacrificato i legami con gli altri e la società sta subendo le conseguenze di questo errore antropologico».
Abbiamo ucciso le relazioni...«Per parlare di dono è necessario il soggetto in relazione, cioè capace di sentire e vivere il vincolo di relazioni fin dalla nascita: qualcuno ha reso possibile la nostra vita, la nostra crescita, rende possibile il nostro lavoro e via dicendo. Quindi siamo in debito con l’altro in termini relazionali. Ma in questa società si tende a negare, a rimuovere questo nostro essere in debito, perché siamo impegnati a perseguire il nostro utile e il nostro narcisismo. A causa di questo non abbiamo più coesione sociale, abbiamo perso i legami umani, che è ciò che caratterizza l’umano. Ci siamo disumanizzati».
Eppure il dono inteso come l’essere con l’altro fa pensare a una cosa semplice da realizzare.«È alla portata di tutti, molto più della concezione di altruismo della quale ho detto, perché si radica nel bisogno di avere vincoli di reciprocità. E tutti se ne avvantaggiano perché nell’essere insieme è ognuno che si rafforza. Il paradosso è che in questa società individualista il "noi", cioè "l’essere con l’altro" assume spesso valenze negative fatte di comunità fondate sull’esclusione, sulla contrapposizione, sul razzismo...».
Lei vede nel dono l’artefice della coesione, l’evento che crea il legame sociale, perché si contrapporrebbe all’altruismo?«Sia chiaro, non ho una concezione negativa dell’altruismo, anche se in esso vedo una possibilità di oblio del sé che non leggo positivamente. Ciò che critico è la visione per la quale l’altruismo viene letto come unica contrapposizione all’egoismo. Per me c’è una terza dimensione che è quella del dono, che nasce dal riconoscere l’esistenza dell’altro e può assumere le forme di compassione, amore, generosità. Il dono nasce dalla consapevolezza di essere stati donati, di essere di origine creaturale e dentro il dono ci sono tanti sentimenti. Nel dono non c’è pretesa di restituzione. Per questo dico che è asimmetrico. C’è però un’attesa di restituzione. Col mio dono inauguro in circolo virtuoso: non pretendo niente nell’immediato, ma so che un giorno può essermi restituito».
In questo senso il dono presuppone la sua accettazione.«Noi non amiamo sentirci in debito, siamo refrattari alla gratitudine, resistenti alla gratuità, non vogliamo essere grati, ma se il dono non viene accettato, se non riconosciamo il debito si perde il beneficio».
Serve un’educazione specifica?«Tutto comincia dalla famiglia, dal rapporto con la madre. È lì che si instaura il rapporto di cura e se ne capisce l’importanza. La cura è essenziale al dono. La cura è il dono. La madre narcisista non è capace di dono».
Viene in mente don Milani e il suo «I care».«È esattamente questo.
La cura del mondo è il titolo di un mio libro in cui sostengo che se fossimo capaci di estendere la cura al di fuori del nostro privato tutto cambierebbe radicalmente».
È la fotografia della crisi politica.«Qui si apre un calderone... ma certamente tutto nasce da assenza di cura, da disinteresse per le persone, da egoismo, narcisismo... l’esatto contrario del dono».