«La libertà esiste sempre, basta pagarne il prezzo» scriveva oltre mezzo secolo fa Henry De Montherlant. Ma il nuovo album
In a time lapse regala a Ludovico Einaudi un bello sconto sul dazio da saldare. Dopo le 750 mila copie vendute dal precedente
Nightbook e gli oltre duecento concerti tenuti in due anni e mezzo di tournée, infatti, il pianista e compositore torinese scarta di lato onori ed oneri del successo per rifugiarsi nel pensiero filosofico trascendalista di Henry David Thoreau. «Mi sono reso conto che bisogna recuparare un rapporto con la natura perché tutta questa modernità non porta alla felicità interiore» spiega "Ludo", padre grande editore e zio Presidente della Repubblica, tra le quattro pareti della sua casa milanese nel cuore del quartiere di Brera. «Libri come
Walden, ovvero la vita nei boschi di Thoreau o le riflessioni affidate dallo scrittore francese Sylvain Tesson al suo
Nelle foreste siberiane, concepito in una capanna affacciata sul Lago Baikal a 120 chilometri di distanza dal più vicino centro abitato, mi sono stati molto d’aiuto in questo viaggio dentro me stesso». Il risultato sono 14 brani in cui Einaudi ridefinisce il proprio percorso senza paura di affrontare nuove strade. A cominciare da quelle che portano giù, in Salento, tra le memorie virate ocra di quella "Notte della taranta" cui tendono brani
Life ed
Experience dove, oltre al tamburellista Mauro Durante, spunta pure il violino dell’inglese Daniel Hope. «Suona un Guarnieri del Gesù che costa 5 milioni di euro. E il valore aggiunto è evidente. Se, infatti, il suono di uno Stradivari è "apollineo", quello del Guarnieri ha una potenza selvaggia che in sala d’incisione lo fa sembrare amplificato anche se non lo è». Le vendite e il tour legati al disco precedente danno la statura internazionale di Einaudi. E il cartellone del tour al via il primo febbraio da Cagli, nelle Marche, conferma che l’attesa è davvero alta. A Londra, grazie anche alla trionfale edizione in Trafalgar Square durante le Olimpiadi, l’autore de
Le onde suonerà al Barbican per due sere all’insegna del tutto esaurito. A Parigi l’attende il mitico Olympia. Ad Amsterdam il Royal Theatre Carré. A Vienna la Konzerhaus. «Ma in autunno proseguirò il cammino in Russia e in Cina» anticipa. L’attenzione per mondi etno-culturali anche molto lontani come quelli documentati dieci anni fa tra i solchi di quel
Diario Mali inciso con Ballake Sissoko, d’altronde, non è mai calata. «Vorrei tanto confrontarmi con i misteri della musica indiana, che è una delle più ampie e complesse del pianeta, ma bisognerebbe star lì mesi a studiare e io non ho così tanto tempo». Allergico alle classificazioni, Einaudi, scherza pure sulle etichette. «La discografia mi incasella nella "classica", ma sinceramente penso di fare una musica più vicina a quella dei Muse che a quella di Vivaldi». E sulla possibilità di andare Sanremo? «Non ci andrei perché rispetto la musica che è passata ma è un palcoscenico che non mi appartiene come spirito e come contesto»