È stato votato come migliore film tv dell’anno e ieri sera al Teatro di Corte del Palazzo Reale di Napoli ha ricevuto il Nastro d’argento dedicato ai lavori realizzati per il piccolo schermo e assegnato dai Giornalisti Cinematografici Italiani, in collaborazione con la Film Commission Regione Campania. Parliamo di Sabato, domenica e lunedì, diretto da Edoardo De Angelis, tratto dall’omonima piece teatrale di Eduardo De Filippo e interpretato da Sergio Castellitto, Fabrizia Sacchi, Gianpaolo Fabrizio, Maria Vera Ratti, Maria Rosaria Omaggio, Liliana Bottone, Adriano Pantaleo, Tony Laudadio, Margherita Laterza. Si chiude così la “trilogia della famiglia” che il regista napoletano ha realizzato per la Rai a partire dai testi di uno dei più grandi attori e drammaturghi del Novecento e che ha convinto per il suo linguaggio capace di contaminare sapientemente cinema, tv e teatro. Il regista, chiamato anche a dirigere la serie Netflix La vita bugiarda degli adulti tratta dal romanzo di Elena Ferrante, ci ha raccontato il senso più profondo di questo ambizioso progetto.
Quella della trilogia tratta dai testi di Eduardo è stata un’ idea premiata dal pubblico e dai critici.
Ho abbracciato questo progetto perché le barriere linguistiche ed estetiche tra cinema e tv si stavano evidentemente sgretolando. L’idea era quella di provare a giocare e sperimentare con certi stilemi con una previsione di destinazione differente. Il pubblico non è un concetto astratto, ma è composto da persone da intrattenere, come fossero amici e parenti ai quali raccontare qualcosa, senza alcun tipo di freno derivante da una ipotetica destinazione. Che si tratti di cinema, di tv o di un racconto di fronte al fuoco, sempre di narrazione si tratta, che ruota intorno a esseri umani le cui storie riecheggiano all’interno della nostra vita.
La novità però è stata quella di lavorare non solo su cinema e tv, ma anche sul teatro.
Il punto di partenza della relazione con Eduardo è stato proprio il rapporto con i testi per un progetto che prevedeva lo sviluppo del discorso in una trilogia sul tema della famiglia, oggetto sfaccettato e a volte inafferrabile, modificatosi nel corso degli anni in una città che è sempre stata giustamente considerata emblema del mondo intero. A partire da questo testo tutte le contaminazioni linguistiche erano possibili, ma non mi interessava il “recupero” di un certo teatro, perché questo prevede uno sforzo. Invece i testi di Eduardo si esprimono con una potenza così cristallina che non hanno solo bisogno di brillare all’interno di linguaggi che sappiano essere detonatori delle bellissime parole scritte da De Filippo. Sono testi vividi, vogliosi di parlare con estrema forza e convinzione a chiunque e in ogni tempo.
Su cosa ha puntato per far brillare le parole di Eduardo?
Sulla tabula rasa di ogni stereotipo legato a questi testi, in parte conosciuti, in parte no. Il rischio di un esercizio di maniera era altissimo, ma questi testi chiedono di esprimersi in corpi, luoghi e tempi sempre rinnovati e non temono la loro trasformazione. Per cui un gesto che sembra coraggioso era in realtà per me doveroso.
Che contributo hanno offerto gli attori alla rilettura?
Sergio Castellitto ha condiviso con me un approccio legato non solo alla sua interpretazione, ma anche alla costruzione del paradigma che ci guidasse nell’adattamento dei tre testi. La visione e l’immaginario di un regista, pur fulgidi e coinvolgenti, non bastano, gli attori aggiungono la propria scrittura attraverso il corpo, fanno cose con le parole. Accanto a Sergio ho poi deciso di coinvolgere esseri umani che amo e stimo e con i quali ho costruito una relazione fiduciaria affinché quello scarto tra chi dirige e chi recita possa avere esiti anche imprevisti, ma armonici.
Perché ha scelto Natale in Casa Cupiello, Sabato, domenica e lunedì e Non ti pago?
Sono per me i testi più emblematici sulla famiglia. In Non ti pago poi assistiamo a un’incursione in una dimensione trascendentale, onirica, che è parte essenziale dell’opera di Eduardo e che riecheggia nell’approccio che tanti esseri umani, cresciuti o anche solo transitati nella città di Napoli, hanno nei confronti della vita. Anche la messa in scena rappresenta un ulteriore progresso nella mia ricerca che punta a trovare un fotogramma che comprenda elementi di realtà molto concreti ed elementi che non attengono alla fantasia, ma alla magia strettamente contenuta nella realtà stessa.
Ora però si torna al cinema.
Dopo due anni trascorsi a lavorare su testi di altri autori torno al mio lavoro cinematografico. Il mio prossimo film sarà Il comandante ispirato alla vera storia del sommergibilista Salvatore Todaro (eroe messinese della Seconda guerra mondiale, che durante una battaglia nell’Atlantico salvò la vita di 26 naufraghi, mettendo a repentaglio la sua vita e quella dei suoi uomini, ndr). Un lavoro cominciato tre anni fa, epoca in cui l’idea di identità nazionale mi appariva deturpata e in cui anche l’idea dell’esercizio della forza mi sembrava declinata nella superficialità della violenza. La vita e le imprese di Salvatore Todaro ci raccontano che l’individuo veramente forte è quello capace di tendere la mano al più debole.
Oggi, alla luce del conflitto nuovo, che tipo di ulteriori riflessioni sono nate?
Gli eventi in cui siamo stati trascinati hanno reso questa storia drammaticamente importante e ancora più urgente. Tutti i segnali che qualcosa del genere sarebbe potuto accadere erano chiari, ma sono stati ignorati. Il nostro dovere di narratori è legato alla possibilità di cristallizzare eventi emblematici, riflessioni importanti che riguardano non solo la nostra esperienza quotidiana, ma anche un’esistenza inserita all’interno di una storia che riguarda tutti gli esseri umani. Bisognerebbe soffermarsi ogni tanto sul fatto che non esistono soltanto circostanze e decisioni legate all’opportunità del momento e mi piacerebbe con questo film comprendere, io per primo, l’importanza di superare l’estemporaneità delle cose.