Ho intrapreso la carriera di regista cinematografico con un grande sogno. E non è stato facile coltivarlo: m’è toccato salire un’infinità di faticosi gradini; non sbagliare una tappa (e una coppa) d’un
cursus honorum semplicemente disumano: scorrendo in armi tutte le più sperdute località turistiche (o quasi) della Penisola. Il mio sogno, posso anche dire lo scopo della mia vita, era girare
Edipo:
Edipo Re! Scusate se è poco. Be’, ci sono arrivato. Adesso guardo dalla cima, domino. Il produttore ha subito apprezzato il fatto che il protagonista sposa la madre; e la cosa riceve il beneplacito, anzi il plauso, del suo consulente. Che è stato suo compagno di banco, a scuola, ed è un esperto di mercato: gestisce tre o quattro cinema, spesso aperti, in una cittadina delle Marche (sempre che oggi esista una cittadina delle Marche con tre o quattro cinema). Entrambi poi, produttore e consulente, concordano sulle mie opzioni di fondo. Il titolo va in inglese, come in tutti i film di successo:
Edipous eccetera. Ed è inutile dirlo, deve essere un noir (ormai cosa non è noir?): postmoderno. Un vertice del noir e del postmoderno. Naturalmente, ambientato ai giorni nostri. L’Antica Grecia è una barba, loro insistono; a parte il budget d’un film in costume. Per la verità a me non sarebbero dispiaciuti dei costumi del genere di quelli della
Carmen di Arbasino: chi non se li ricorda? Il produttore e il suo consulente: non se li ricordano proprio; anzi non sanno chi è Alberto Arbasino, sbagliano il nome quando ne discutiamo. Ma poi hanno ragione loro. Non dico a non sapere chi è Arbasino (per quanto): a volere i giorni nostri. L’unico punto di dissenso è il finale. Al produttore non garba quello di Sofocle: pretende il lieto fine. Gli ho ripetuto mille volte che il lieto fine non usa più, che adesso alla gente piace di nuovo vedere i leoni che sbranano i cristiani. Nulla. Il fatto è che è un produttore di cultura un po’ vetero-contadina: simpaticamente. Anzi per l’esattezza non è proprio un produttore. È uno che ha fatto i soldi (finché gliene resta) con il
Made in Italy dislocato in Romania; e giustamente desidera migliorare: ha delle ambizioni sociali e un legame sentimentale con una ragazza. Una ragazza che sta per compiere i diciotto anni e vuole fare: 1) la valletta in un grande show; oppure 2) l’Isola dei Famosi; o almeno 3) il cinema. Le prime due cose le hanno dato buca e così si accontenta del cinema: una vecchia storia. È lei che esige il lieto fine. Non le va d’impiccarsi come Giocasta, la protagonista di Sofocle: le sembra una cosa di cattivo gusto; a parte che in un debutto porta iella. Anche il produttore non sopporta che la ragazza s’impicchi, gli fa senso: le vuol bene come a una figlia. Alla ragazza neppure sconfinfera di chiamarsi Giocasta: le suona malissimo e preferisce Jessica. Io alla fine non trovo grandi obiezioni: Jessica? A rimasticarlo, conferma la caratura postmoderna.
Edipous and Jessica… Funziona, no? Ciò che funziona meno – appena meno – è l’età (diciotto anni scarsi) di questa attrice protagonista. Come faccio a renderla madre di Edipo, un uomo adulto? Ma poi mi sono inventato che una scienziata di fama mondiale, la dottoressa Tiresia, a suo tempo le ha somministrato il siero della giovinezza. Sempre più postmoderno, no? Più arduo costruire il lieto fine. Anche perché produttore e consulente non rinunciano all’accecamento di Edipo: si deve vedere bene – nei particolari: primissimi piani prolungati – come e qualmente lui si cava gli occhi. E io poi come posso farlo vivere felice e contento insieme a mammina, marito e moglie tutta la vita? Senza contare che il mio dante causa, intendo il produttore, non accetta che la trasgressività – peraltro necessaria, raccomandatissima – arrivi a quel punto. Anche il consulente insiste: un film deve essere trasgressivo, ovviamente, altrimenti non è un film; ma con giudizio. Il pubblico se si esagera non è che si scandalizzi (chi si scandalizza più?), ma si secca. Con noi: gli sembra una gaffe imperdonabile, uno strappo eccessivo delle buone maniere. Quanto ci abbiamo sofferto. Che discussioni, attorno al tavolo della pizzeria. Vuoi che Jessica sia la madre di Edipo? domando per l’ennesima volta. Certo, mi rispondono: è ciò che dà un sapore originale alla cosa. E vuoi che Edipo e Jessica abbiano un radioso e illimitato futuro coniugale? Sì, in coro: senza remissione. Però allora, subito storcevano il muso, che lei sia la madre non va più bene. Ma insomma, mi rivolgo a tutti, volete che sia la madre o no? Tentennano, perplessi. Tentenniamo, ci tormentiamo, balbettiamo, ci guardiamo in faccia gli uni con gli altri, gesticolando a vuoto, impotenti: e ordiniamo un nuovo giro di ammazzacaffè. Né io certo gli rendo la vita facile: col bicchierino ancora mezzo pieno in mano torno alla carica. «Ve l’ho già detto: se vogliamo essere coerenti, Edipo cieco non ci sta con il lieto fine». Sì, giusto, ammette il produttore; il quale, malgrado abbia più denti d’un pescecane ben fornito, è di cuore tenero (fuori dagli affari); e il consulente: «L’handicap non tira più, credetemi, io il pubblico lo conosco. I figli d’un dio minore sono passati di moda». Jessica-Giocasta tace: magari pensa che la dedizione all’infelice nel
The End le donerebbe. Alla fine propongo: «Se non lo volete più cieco, faccio un fischio alla dottoressa Tiresia e ve lo guarisce perfettamente». «Già: e la cata come diavolo si chiama va a gambe all’aria». Mai gli avessi parlato di catarsi: ripiombiamo nello sprofondo del busillis. Insomma, la moglie ubriaca e la botte piena. L’accecamento sanguinoso e gli occhi sani; l’ortodossa maternità e la storia d’amore immacolata con tanto di vincolo coniugale. È solo due ore dopo, mentre m’infilo dentro il Suv della produzione, notte fonda e buio spesso, che mi colpisce la folgore abbagliante della Soluzione. Quasi non ci credo: ma è davvero il mio Edipo, anzi Edipous! Urlo il
nuntio vobis dal sedile posteriore (quello anteriore spetta di diritto alla ragazza): «Volete sapere come facciamo? È facile». Merito, ancora, della dottoressa Tiresia: la quale, dopo avergli ridato la vista, scopre che Edipo è frutto d’una fecondazione artificiale; e in laboratorio c’è stato il solito scambio di provette. Sicché lui non è figlio di Jessica, come si credeva finora, ma di una rispettabile coppia di coniugi italo-americani: certi signori che di cognome facevano Complesso. «Edipo Complesso, vi ricorda qualcosa?», mi scalmano: legittimamente orgoglioso, sudato. E così abbiamo anche il titolo del film:
Edipous and Jessica Complesso.