«C'è una questione di fondo che ha accompagnato tutta la ricerca di Scoppola, quella del rapporto tra coscienza religiosa e valori della libertà e della democrazia» (Andrea Riccardi). Nella vita di ogni studioso, egli diceva, c’è sempre un argomento che, più di altri, ne esprime interessi, orientamenti, idee. Pochi – aggiungeva – scrivono più di un libro nel corso della loro vita e molti altri riscrivono più volte lo stesso libro, seppure in modi diversi. Nel suo caso, il libro che egli non ha mai smesso di scrivere riguarda la storia – non solo politica e istituzionale, ma anche culturale e, soprattutto, 'religiosa' – del rapporto tra Chiesa e democrazia. Nella sua lunga lezione, emerge chiaramente il legame personale con la Chiesa cattolica che ha segnato tutta la sua esistenza e che si è espresso attraverso dubbi, domande e, soprattutto, una passione profonda. Nell’insieme, si può dire che gran parte della sua produzione esprima uno sforzo di pensare storicamente la Chiesa, piuttosto raro nel panorama culturale italiano, sia ecclesiastico sia laico.Fin da giovane, si è ritrovato in un’esigenza diffusa nel cattolicesimo europeo, soprattutto francese, degli anni Trenta e Quaranta, da Henri De Lubac a Emmanuel Mounier: interrogarsi sulle responsabilità dei cristiani nei confronti del mondo moderno. Tale esigenza non lo ha spinto a fissare in modo rigido una tesi storiografica sul rapporto tra Chiesa e democrazia, ma piuttosto a sviluppare una profonda convinzione: l’incontro tra la Chiesa cattolica e i valori della democrazia è stato storicamente importante per entrambe, anzi fondamentale, in particolare nel caso italiano. La sua riflessione ha privilegiato un nucleo storico cruciale per quanto riguarda l’età contemporanea: il ruolo della Rivoluzione Francese e, più in generale, della rivoluzione quale cardine di molteplici vicende storiche e quale chiave interpretativa complessiva dell’ epoca in cui viviamo. È stata sua convinzione profonda che con la Rivoluzione Francese si sia verificata una profonda «frattura tra società civile e società religiosa», dopo la quale nulla è stato più come prima: tutta la storia del cattolicesimo contemporaneo, nelle sue diverse e talvolta persino opposte componenti, dipende da tale frattura. Egli era anche convinto che molti problemi, all’interno del cattolicesimo, dipendessero dal tentativo di ignorare o di rimuovere tale frattura: riteneva, in particolare, importante che la Chiesa abbandonasse un ruolo di 'parte' contrapposta allo Stato e alla società, scaturito proprio da questo atteggiamento. Ciò, però, non significava affatto per lui dimettere l’irriducibile e fondamentale tensione che contrappone sempre la Chiesa al 'mondo': in Scoppola, lo storico non ha mai annullato il credente, come egli ha cercato di far capire dedicando molte energie proprio al tentativo di chiarire la differenza radicale fra il rifiuto, inevitabilmente ideologico, della rivoluzione e la distanza, autenticamente religiosa, dal mondo. Scoppola non è assimilabile tout court alla categoria, peraltro un po’ generica, dei «cattolici progressisti ». Critico del giacobinismo autoritario, presente non solo nella Rivoluzione Francese ma anche in altre esperienze rivoluzionarie, non a caso egli era persuaso della funzione decisiva dello «spirito religioso» per depurare il fenomeno rivoluzionario – liberale o comunista, di destra o di sinistra – dalla carica di violenza e di illibertà che lo accompa- gna. Su tale fondamento, ha sviluppato nel tempo una critica sempre più profonda alla rivoluzione, che si è estesa anche, negli anni Settanta, all’uso «da sinistra» della categoria storiografica della continuità e, negli anni Novanta, all’utilizzo della medesima categoria, ma stavolta «da destra», a proposito del passaggio dal fascismo al post-fascismo. L’insistenza sulla continuità che ci sarebbe stata in questo e in altri momenti storici, in contrapposizione ad una discontinuità che invece sarebbe mancata, nasconde infatti – non solo a sinistra ma anche a destra – una sotterranea nostalgia della rivoluzione, che egli non ha mai condiviso e contro cui ha messo spesso in guardia. La critica della rivoluzione ha costituito e costituisce ancora una degli aspetti più convincenti di una lezione storica che non interessa solo i credenti. Non è un caso che, prima di altri, egli abbia rapidamente percepito le molte e inattese conseguenze del tramonto di una cultura politica costruita in gran parte, per esaltarlo o per rifiutarla, proprio intorno al tema della rivoluzione. Già negli anni Ottanta si accorse del «vuoto etico» che si stava diffondendo in una società italiana sempre più segnata da una rivoluzione di tipo molto diverso, quella consumista. Ed ha poi dedicato i due decenni successivi a cercare di contrastare gli effetti negativi di tale vuoto etico sulla vita pubblica italiana, richiamandosi, ancora una volta, alla forza profonda sebbene disarmata di un autentico «spirito religioso».