mercoledì 12 gennaio 2011
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Nata alla fine del 1918 dalle ceneri dell’Impero asburgico e immolata poco meno di vent’anni dopo sull’altare del III Reich, la prima repubblica austriaca è stata al centro – sino ad oggi – di numerosi studi, molti dei quali dedicati all’epilogo dell’Anschluss: quell’annessione alla Grande Germania nazista, nel marzo 1938, suggellata il mese dopo da un fatale plebiscito, ben preparato dal Führer, ma al quale non furono estranee le conseguenze politiche ed economiche delle riduzioni territoriali imposte dopo la prima guerra mondiale (nonché responsabilità diffuse a livello internazionale, anglo-francesi comprese). In questa ricca bibliografia anche il ruolo del Vaticano tra le due guerre mondiali innanzi alle vicende della cattolica Austria è già stato oggetto di studi (Friedrich Engel-Janosi, Erika Weinzierl-Fischer, Maximilian Liebmann…) o trova utili riferimenti nei diari di alcuni protagonisti dell’epoca (il barone Carlo Monti, l’ambasciatore François Charles-Roux, Franz von Papen…). Da quattro anni tuttavia, l’accesso agli storici delle carte relative al pontificato di Pio XI, fra il 1922 e il 1939, ha consentito un ulteriore approfondimento, il cui esito consente di ben distinguere l’atteggiamento della Chiesa cattolica visto dai vescovadi o dalle canoniche del piccolo Stato alpino, e visto da Roma e dal Cupolone. Più che conciliante quello dell’episcopato austriaco: facile a cogliersi nelle dichiarazioni di compiacimento per l’Anschluss dell’arcivescovo di Vienna, il cardinale Theodor Innitzer, che le concludeva con il saluto nazista «Heil Hitler». Assai diverso quello della Santa Sede: segnato dalla lucidità di papa Ratti, presto consapevole dei pericoli del nazionalsocialismo denunciati nell’enciclica Mit Brennender Sorge del 1937 e – quanto al destino dell’Austria – pronto, appena informato delle iniziative di Innitzer tenute all’oscuro della nunziatura di Vienna come del Vaticano, a costringerlo a un’umiliante ritrattazione già prima della convocazione a Roma il 5 aprile 1938. A partire da queste distinzioni, analizzando carte inedite degli archivi della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari e del Pontificio Istituto Teutonico di Santa Maria dell’Anima, vagliando i resoconti dei colloqui papali con il segretario di Stato Pacelli (che nel 1934 firmò il concordato tra Santa Sede e Austria con il cancelliere Engelbert Dollfuss, subito dopo ucciso dai congiurati nazisti), e senza trascurare la corrispondenza diplomatica con la nunziatura di Vienna, Paolo Valvo ha appena scritto il saggio Dio salvi l’Austria! (Mursia, pp. 272, euro 18). È l’occasione per ricapitolare le varie fasi della politica vaticana – nel segno della neutralità, poi della difesa dell’indipendenza – dalla fine degli Asburgo alla «finis Austriae»; e per inquadrare la questione del piccolo Stato (definito da Benedetto XV «capo tagliato dal corpo») nell’assetto europeo: passando dall’Austria di monsignor Ignazio Seipel a quella corporativa e cristiana di Dollfuss, dall’inizio dell’era von Schuschnigg agli accordi austro-tedeschi nella morsa di Hitler e nell’accondiscendenza del clero austriaco. Ma è anche l’occasione, per Valvo, di avvicinare Pio XI e il futuro Pio XII nelle loro posizioni sul tema, spesso differenziate. Interessante ciò che scrive l’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Bonifacio Pignatti, augurandosi che il cardinale Pacelli «malgrado la sua nota invincibile avversione per tutto quello che sa di nazismo» capisca la «convenienza che ha l’Austria di addolcire le sue relazioni con il Reich». Fu questa ferma posizione del futuro Pontefice – ricordata da Ovidio Dallera nella presentazione a questo volume – che ne ispirò l’azione nei confronti dell’Austria. Tra realismo cristiano e realpolitik.
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