Si tiene oggi presso il Centro Studi della Fondazione Campostrini di Verona il convegno internazionale “Dinamiche della religione”. Ce ne parla Roger Pouivet, professore di Filosofia presso l’Université de Lorraine, ospite al convegno accanto a Emmanuel Falque, direttore dell’Institute Catholique de Paris, e a Vittorio Possenti, saggista e filosofo italiano nonché tra i massimi studiosi di Jacques Maritain. L’attenzione non può che andare in primis alla grave situazione in Medio Oriente.
Professor Pouivet, in che modo crede si possa recuperare un senso della religione, qualunque sia la tradizione culturale nella quale essa prende forma, quale rapporto dell’uomo con Dio, e dunque di rispetto del prossimo, della sua dignità e dei suoi diritti?«Non sono in grado di rispondere. Alcuni filosofi pretendono di dare a qualsiasi fatto, la caduta del muro di Berlino, la distruzione delle Torri Gemelle a New York, oggigiorno i conflitti in Medio Oriente, il suo significato filosofico profondo. Per il grande pubblico, essere un filosofo significa fare questo. Ma sono scettico sulla fondatezza epistemologica di tale atteggiamento. L’idea che i filosofi avrebbero una comprensione privilegiata del senso degli avvenimenti contemporanei mi sembra falsa e persino ridicola».
Se in Medio Oriente la situazione è preoccupante, in Italia, come in Europa, i valori che legano il cittadino alla propria professione di fede sono spesso letti come anti-liberali. Si assiste dunque a tensioni cittadine per la libertà di espressione. Quale lo scandalo?«La domanda è: sapere come le credenze religiose possono essere razionali senza essere giustificate attraverso l’esperienza o le dimostrazioni. Tuttavia, le prove classiche dell’esistenza di Dio sono ben più serie e credibili di quanto non suggerirebbe il disprezzo che queste riscuotono attualmente da parte di filosofi e teologi. Penso che la teologia naturale e la teologia razionale siano delle discipline più serie rispetto alla maggior parte delle scienze umane, soprattutto della psicoanalisi di certe teorie sociologiche. Ciò che preoccupa molti critici della religione è che si possa pensare di avere ricevuto la verità attraverso la rivelazione. Nel mio libro
Épistémologie des croyances religieuses cerco di mostrare che credere di avere ricevuto delle verità rivelate non ha nulla di irrazionale».
L’Europa di oggi sembra essersi completamente allontanata dalla latinità nella quale si è sviluppata. Si assiste così ad una sempre maggiore trascuratezza per le scienze umanistiche. Crede sia possibile valorizzarne la bellezza? «Non credo ci si possa aspettare dei cambiamenti significativi nell’attuale ossessione economica e tecnicista. Si può solamente sperare, ma senza un eccessivo ottimismo, che la situazione non peggiori. Inoltre, bisogna continuare a leggere gli autori del passato e a riflettere a partire da essi. Semplicemente perché ci sono molti più studenti e professori oggi di quanti non ce ne siano mai stati. Curiosamente, mentre la cultura umanistica è disprezzata, ci sono molte più persone che la studiano ancora di quante non la conoscevano quando tutto il mondo o quasi la studiava, e oggi è più facilmente accessibile grazie a internet».
Lei ha di recente avuto modo di approfondire le ricerche sulla Philosophy and Theology of Intellectual Humility, filone di studi promosso da Eleonore Stump presso la St. Louis University. In che modo l’umiltà, considerata come virtù, può divenire incisiva a livello sociale?«Questo interesse per l’umiltà nella filosofia contemporanea viene dalla provvidenziale rinascita dell’etica delle virtù nella filosofia contemporanea. Dopo la cura del kantismo, hegelismo, heideggerismo e infine del derridismo, nella filosofia europea c’è ancora una ragione per sperare. L’interesse per l’umiltà è altresì grande nell’epistemologia delle virtù che si sviluppa nella filosofia analitica. In un’etica delle virtù o in una epistemologia delle virtù, ciò che importa è di sapere quali sono le qualità morali e intellettuali delle persone e delle comunità, e non delle nozioni come quella di spirito, di soggettività, del sé. Le virtù esprimono al meglio ciò che siamo; i vizi ci sminuiscono. L’orgoglio o l’arroganza sono gli ostacoli alla fede morale e intellettuale nella ricerca della verità e della sua manifestazione. Al contrario, l’umiltà è importante per l’acquisizione della conoscenza e, in particolare, nell’educazione. Ciò che afferma san Tommaso circa il ruolo delle virtù e dei doni dello Spirito Santo in particolare è a mio parere la via del progresso nella filosofia. L’orgoglio è, come noto, il peccato fondamentale che ci fa pensare che nulla è a noi superiore, nemmeno Dio. I media, e in particolare la televisione, a causa della fascinazione dell’immagine accentuano i due vizi maggiormente opposti all’umiltà: l’orgoglio e l’arroganza. Risplendere agli occhi degli altri a tutti i costi, e per questo motivo, non appena questo risulta utile, dire più di quanto non si sappia e parlare di ciò che non si conosce, disprezzare la verità e la prudenza, cercando innanzitutto di imporsi».
Lei è autore del testo Dieu en tant que Dieu. Il tema di Dio è al centro della religione cristiana, ma ultimamente non sempre accompagnato al tema dell’identità dell’uomo, quasi non ci si vergognasse a parlare di Dio, piuttosto a parlare della propria identità. Questione di virtù?«Questo è di nuovo il problema dell’orgoglio. L’enfasi messa nella filosofia contemporanea della religione sulla nozione di esperienza e l’importanza accordata alla fenomenologia mi sembrano andare nella stessa direzione di un culto della soggettività e del "vissuto". Che noi siamo fatti a immagine di Dio non vuol dire che gli assomigliamo. Dio non è comprensibile perché non è una persona come me e te, ma più potente, più sapiente, migliore. Dio non è un super-Superman».