I 30 anni dalla sua morte, celebrati nel 2010, hanno rimesso sotto i riflettori la figura lucida e appassionata di Albert Camus. Il quale da più parti viene additato – fosse ancora in vita – come uno dei frequentatori del Cortile dei Gentili, lo spazio di dialogo tra credenti e atei voluto da Benedetto XVI. E, viste le frequenti citazioni di Nietzsche, Dostoevskij e Girard, anche il dotto saggio di Valeria Turra Alberto Camus, figure dell’antico. Il mito di fronte all’assurdo (Edizioni Fiorini, pp. 292, euro 32) va in questa direzione. La giovane ricercatrice dell’università di Verona rintraccia nell’opera del Nobel per la letteratura una predilezione per l’elemento greco e 'russo' in cui l’esperienza cristiana, comunque, non è assente.
Camus pone i classici greci e russi come punti di riferimento. Si può considerare la figura di Cristo un «trait d’union» tra i due mondi?«In parte. Per Camus Cristo è figura tragica perché egli muore per un Dio in cui non crede: ne è una prova la sua sottolineatura per le parole di Gesù in croce sull’abbandono da parte di Dio. Se per Camus Dio esistesse, allora Cristo non sarebbe tragico. Però il cristianesimo, per lo scrittore francese, è totalmente antitragico. Infatti secondo lui il tragico è la messa in scena di due posizioni ugualmente legittime, che corrispondono a un universo plurale e politeistico. La presenza di un solo Dio, cioè di una sola verità, di una unicità del significato, svuota di senso la tragedia. Camus non crede in Dio, ma non per questo accetta di essere tirato per la giacchetta da chi è anti-religioso».
Il Golgota come tragedia. Perché l’esperienza di Gesù è così eloquente per l’autore de «La peste»? «Per Camus, che si pone in linea con la posizione del Kirillov dei Demoni di Dostoevskij, Cristo è un emblema perfetto della condizione umana. La morte sulla croce lo rende uno che non si sottrae all’esperienza più tipica per l’uomo, ovvero l’assurdo. In questo senso lo 'straniero' Meursault nell’omonimo romanzo può essere considerato una figura di Cristo: Meursault infatti, che non crede in nessuna verità assoluta, si lascia condannare a morte senza reagire in nome della propria verità di persona».
Per Camus dunque Cristo è l’uomo perfetto: una rievocazione del Concilio «ante litteram ». Oggi la figura dell’intellettuale francese pare distante dal mondo dei non credenti. Il suo approccio può essere da guida per un dialogo positivo tra credenti-laici?«Il pensiero di Camus è antidogmatico e duttile, capace di confrontarsi con tutti gli aspetti della realtà e con autori di varie epoche e credenze. Richiede però al lettore grande onestà intellettuale e capacità di apertura e confronto. In questo senso credo possa essere una guida al dialogo fra credenti e laici, come fra persone appartenenti a culture diverse. A condizione però che ciascuno sia capace di mettersi profondamente in discussione. Per chi non voglia correre questo rischio, Camus rimane un autore scomodo e irritante. Insomma, Camus resta paradigmatico nella sua forma di pensiero perché scava alla ricerca della verità. Il suo anelito ad una società giusta non presuppone la fede in Dio ma la sua attenzione all’uomo rimane centrale».
Interessanti i rilievi che lei fa su Camus anti-marxista: perché questo suo rifiuto del materialismo storico?«La critica che Camus porta al marxismo parte da lontano, cioè dalla sua concezione di tempo, centrale soprattutto nelle sue prime opere ( La morte felice e Lo straniero). La famosa felicità degli eroi camusiani dell’assurdo nasce dalla loro capacità di vivere il proprio tempo di esistenza, cioè da una coscienza compiuta del tempo di cui essi stessi sono costituiti qui e ora, senza nessuna proiezione verso un futuro che è loro negato. Il messianismo marxista storicamente realizzato indirizzava invece gli esseri umani verso una meta di cui Camus coglieva tutta l’illusorietà. E a quel futuro spesso il marxismo sacrificava bisogni ed esigenze primarie degli uomini. Per Camus tutto ciò era inaccettabile».