«Un personaggio atipico, inclassificabile. Non era un profeta disarmato. Sapeva molto bene come si fa la politica. E la faceva con grande capacità di mobilitazione anche se la sua era un’anima in cerca di Dio in una dimensione mistica». Utilizzando fonti già note e studi recenti lo storico e politologo Paolo Pombeni ricostruisce l’itinerario politico di Dossetti – di cui il 13 febbraio ricorre il centenario della nascita – in
Giuseppe Dossetti. L’avventura politica di un riformatore cristiano (Il Mulino, pp. 202, euro 18) con una lettura fuori dai miti, dagli entusiasmi acritici come dalle note sarcastiche di amici e avversari (da «comunistello di sacrestia» a «Savonarola redivivo»), che hanno accompagnato il suo percorso tutto sommato breve (dal 1945 al 1951) di leader di partito. Dopo un lungo silenzio legato alla sua scelta religiosa, Dossetti tornò negli anni ’90 a rivendicare il «patriottismo costituzionale» per evitare il decadimento di uno Stato dove «l’arrangiarsi è legge generale». «La sua entrata in politica – dice Pombeni – avviene per la porta stretta e il crogiolo terribile della seconda guerra mondiale. Dossetti avverte che si è di fronte a un crinale epocale, con la fine della cristianità medievale. Ciò richiede un profondo rinnovamento della Chiesa e della società. La sua partecipazione alla Resistenza, anche come presidente del Cln di Reggio Emilia, era una premessa indispensabile e un dovere patriottico per la salvezza dell’Italia. In quest’ottica si colloca il suo impegno nella Dc con l’assunzione quasi immediata di ruoli dirigenziali».
La presenza di Dossetti è però contestata anche dopo la vittoria elettorale del 18 aprile 1948 e non è superata neppure quando, accogliendo l’invito di De Gasperi ai dossettiani di «mettersi alla stanga» nella gestione del partito, l’azione dei governi centristi vive una stagione di riforme.«La scelta a sostegno della Repubblica nel referendum del 2 giugno e l’appassionato contributo di Dossetti, grazie anche alla sua competenza giuridica, nell’elaborazione della Costituzione – basti pensare al suo impegno per l’articolo 7 sui rapporti tra Stato e Chiesa – dovevano essere seguiti da un profondo rinnovamento dello Stato, che facesse proprie le "attese della povera gente" auspicate da La Pira e nel quale la distinzione tra "azione cattolica e azione politica" (tema affrontato da Lazzati sulla rivista dossettiana
Cronache sociali) fosse ben definita. Il tema della riforma dello Stato – ribadito in una relazione ai giuristi cattolici nel 1951 – richiedeva, a suo giudizio, un partito diverso. Su tale aspetto si consuma lo scontro con De Gasperi. Per quest’ultimo, "la responsabilità dell’azione politica deve essere lasciata collegialmente al governo". Per Dossetti, "il partito può e deve essere un mediatore tra Parlamento e popolo". L’accusa di "leninismo" mossagli non ha senso: Dossetti è stato uno dei pochi leader a capire che uno dei problemi chiave del nostro Paese era la carenza di luoghi di formazione delle
élites politiche. Un problema che anche oggi mi sembra attualissimo».
A Rossena, nell’estate 1951, Dossetti annuncia il ritiro della politica. Ma 5 anni dopo accetta di candidarsi a Bologna nelle elezioni amministrative. «I convegni di Rossena sono due, con sostanziali differenze. Nel primo si prende atto di una crisi di progettualità della Dc, ma ci si muove ancora nell’ottica di una presenza, sia pur critica, nel partito. Non a caso si sottolinea il ruolo autonomo di Fanfani, che opererebbe in funzione di ricambio a De Gasperi. Nell’altro torna in primo piano la crisi epocale, superabile solo a lunghissima scadenza; di qui il ritiro. Quanto alle elezioni di Bologna, da sempre città simbolo del buon governo del Pci, in una situazione di politica internazionale e italiana profondamente mutata, ha pesato l’invito del cardinale Lercaro, ma è interessante il modo con il quale Dossetti si è presentato agli elettori: nessuna alleanza con i partiti e dichiarazione di essere vincolato solo "dalla volontà di aderire al Vangelo e al magistero della Chiesa". La campagna è tutta incentrata sui problemi amministrativi, con proposte espresse in un "Libro bianco" che in più parti saranno riprese dai comunisti vincitori delle elezioni. La reazione del Pci fu estremamente dura, con un rabbioso discorso in cui Togliatti accusava Dossetti di tradimento della classe operaia. Altrettanto dura fu la replica contro un comunismo che proprio a Bologna aveva rinunciato al volto rivoluzionario e al suo compito di progresso».
Per molti anni, dopo l’ordinazione sacerdotale, la collaborazione con Lercaro al Concilio e la scelta monastica, Dossetti è rimasto in silenzio; poi a metà degli anni ’90 ha animato i comitati in difesa della Costituzione che vedeva minacciata anche da «avventati presidenzialismi».«Il "patriottismo costituzionale" lo aveva mosso già alla Costituente. Negli anni ’90 egli richiama i cattolici perché tornino a "pensare politicamente" di fronte agli evidenti fenomeni di decadenza che avverte nel Paese. Non chiude a eventuali modifiche, ma conclude che "senza un profondo rinnovamento etico, le riforme istituzionali rimarranno lettera morta"».