Una scena di "September 5" - Web
l conflitto israelo palestinese e le sue radici viste dall’occhio della telecamera. Al Lido, mentre i riflettori sono puntati sulle mise sfolgoranti di Angelina Jolie e Nicole Kidman, sottotraccia passano invece opere importanti che puntano l’attenzione sulla polveriera mediorientale. Occorre attendere il 6 settembre per vedere la prima del documentario Of dogs and men, in programma nella sezione Orizzonti, che il regista israeliano Dani Rosenberg ha girato il giorno dopo il 7 ottobre 2023 all’interno del kibbutz preso d’assalto da Hamas. Mentre oggi il regisa israeliano Amos Gitai lancerà il suo appello per la pace in Why war? Intanto alla Mostra del Cinema si sono visti due lavori che raccontano come la televisione abbia testimoniato con tutta la drammaticità eventi le cui conseguenze viviamo ancora oggi: il film tedesco September 5 del regista Tim Fehlbaum (Orizzonti extra) che ricostruisce con ritmo serrato la drammatica diretta televisiva mondiale (la prima di un evento terroristico) della strage delle Olimpiadi di Monaco del 1972 e il documentario del regista svedese Goran Hugo Olsson Israel Palestine on swedish tv 1958 – 1989 (Fuori concorso) che ripercorre 40 anni di tormentata storia del rapporto fra il neonato stato di Israele e i palestinesi attraverso le immagini della tv pubblica svedese.
September 5 svela il momento decisivo che ha cambiato per sempre la copertura mediatica delle notizie in diretta. Il film è tutto girato, con accurata ricostruzione storica e col passo del thriller, dentro la cabina di regia della troupe di giornalisti sportivi della Abc inviata a seguire le Olimpiadi di Monaco del 1972, e si basa sulle vere testimonianze dei protagonisti, inserendo immagini originali viste solo allora, dato che i file sono stati desecretati da poco dalla polizia, ci spiega il regista. All’improvviso la presa in ostaggio degli atleti israeliani da parte del commando palestinese Settembre Nero, porta la stampa sportiva ad adattarsi alla diretta fiume (ben 22 ore) sul rapimento e poi sull’uccisione degli 11 atleti, che saranno visti da quasi un miliardo di tele-spettatori in tutto il mondo. Al centro della storia c’e Geoff, un giovane e ambizioso produttore che cerca di dimostrare il proprio valore al suo capo, l’importante dirigente televisivo Roone Arledge. Insieme all’interprete tedesca Marianne, Geoff prende il controllo della trasmissione: viviamo insieme a loro l’adrenalina della lotta contro il tempo, ma anche le incertezze, la confusione, le voci contrastanti, la tensione per la vita degli ostaggi in bilico. Finché Geoff dovrà confrontarsi con la propria morale. Come fare la cronaca di una situazione così drammatica se quello che vogliono i colpevoli è proprio stare sotto i nostri riflettori? «Volevamo far luce sul ruolo dei media – spiega ad Avvenire il regista -. Concentrandoci sulla prospettiva del reporter, ci confrontiamo con i dilemmi morali, etici, professionali e psicologici dei giornalisti: possiamo diffondere le informazioni prima che vengano confermate? Una trasmissione in diretta può includere atti di violenza? Qual è il confine tra notizie e spettacolo? Come parte della nostra ricerca, abbiamo collaborato con Geoffrey Mason, un testimone oculare chiave. Mason era membro del team della sala controllo che è passato dal reportage sportivo alla geopolitica durante questa maratona di ventidue ore di diretta».
Trattando di palestinesi ed israeliani, lo spettatore non potrà non fare riferimento alla drammatica situazione di oggi. «Noi abbiamo iniziato a girare il film prima del 7 ottobre. Eravamo nelle ultime fasi della post produzione quando è arrivata l’escalation con tutta la sua tragedia – aggiunge il cineasta –. Noi non vogliamo fare dichiarazioni politiche, anche se abbiamo fatto le nostre ricerche per capire cosa ha portato a quei fatti. Alla fine vediamo solo il punto di vista dei media».
«La questione israelo-palestinese è urgente» invece per il regista svedese Olsson che ha iniziato il suo lavoro ben prima del 7 ottobre. «Abbiamo trovato 5 anni fa il materiale ed è stata una sfida far comprendere l’importanza di questo lavoro che analizza ore e ore di filmati della tv svedese che all’epoca aveva un unico canale, dalla sua fondazione al 1989 l’anno del crollo del Muro di Berlino in cui è finita un’era» spiega il regista. Le bellissime immagini raccontano in ordine cronologico le speranze del nuovo stato nascente, il punto di vista dei giovani ebrei arrivati da tutto il mondo del dopoguerra, ma anche le contraddizioni interne dello stato, il rifiuto del suo riconoscimento da parte del mondo arabo, le sofferenze e la lotta del popolo palestinese per l’indipendenza, l’escalation delle tensioni e delle guerre.
Il doc propone ben 200 minuti di filmati di archivio inviati dai reporter della Stv. Oltre alle parole della gente comune ci sono molti volti noti appartenenti a entrambe le parti del conflitto tra cui Yasser Arafat, Abba Eban, Golda Meir, Henry Kissinger, Olof Palme, David Ben-Gurion, Jimmy Carter, Anwar Sadat e Ariel Sharon. Vediamo anche queste figure prendere parte a eventi storici. Come Golda Meir che accogliere Anwar Sadat in Israele il 19 novembre 1977 (solo pochi anni dopo la guerra del 1973) per parlare con lui del difficile cammino verso la pace. Pace che oggi sembra lontanissima. «Questo è di gran lunga il film più doloroso che io – noi – abbiamo mai realizzato» aggiunge Olsson che riesce ad assemblare un documentario che non prende posizioni politiche, ma lascia parlare le immagini da entrambe le parti e le parole equilibrate del servizio pubblico svedese che lo manderà in onda in sei puntate.
«Non si può vedere oggi questo film e non pensare alla situazione attuale – aggiunge –. Dal 7 ottobre il mio cuore cambiato, ho così sofferto, è stato devastante passare 4 anni su questo materiale tv per poi vedere la storia ripetersi, ma a un altro livello, la crisi la vedevi arrivare ma non con questa potenza. La differenza è che molta gente allora aveva l’obiettivo della pace da entrambi i lati, pace e coesistenza. Invece questo è un tempo terribile in cui si parla soltanto di armi, fucili, confini, vendetta. Io stesso sono scioccato dall’uccisione di tanti civili e bambini, terrorizzato dalla mancanza di discussione sulla pace, non solo in Israele, ma anche in Ucraina e Russia. La mia speranza è che questo lavoro aggiunga qualcosa alla narrativa sulla pace».
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