DALL’INVIATO ATORINO Romeo e Giulietta danno ancora scandalo. Specie se lui viene da Ramallah, Palestina profonda, e lei è cittadina israeliana con tanto di regolare servizio nell’esercito alle spalle. Giovani e belli tutti e due, Hilmi e Liat, destinati a innamorarsi a New York, lontano dalle divisioni forzate del Medioriente. È la trama di
Borderlife (traduzione di Elena Loewenthal, Longanesi, pp. 374, euro 16,90), il romanzo dell’israeliana Dorit Rabinyan che non più tardi del gennaio scorso il ministero dell’Istruzione di Tel Aviv ha deciso di bandire dalle scuole del Paese. «Sono stata accusata di incoraggiare le coppie miste – commenta l’autrice, che oggi alle 17.30 parlerà all’Arena Bookstock del Salone –. All’inizio ero molto amareggiata, ma dopo aver visto la reazione penso che quel divieto sia stato una benedizione. Per molti andare in libreria si è trasformato in un atto politico e i ragazzi che non potevano leggere
Borderlife in classe se lo sono trovato a casa, comprato dai genitori». Fin dal titolo, il romanzo allude alla presenza, terribile e necessaria, dei confini. «Può piacere o non piacere – dice Dorit Rabinyan –, ma si tratta di un elemento fondamentale per l’identità di ciascuno. Certo, in Israele il concetto è più drammatico e sfumato. Non è un caso che, all’interno della coppia, Liat sia la più interessata a tracciare una linea di demarcazione. Anche dal punto di vista politico, la ragazza è a favore della costituzione di due differenti Stati, uno israeliano e l’altro palestinese. Hilmi, al contrario, crede che le due nazionalità possano convivere sullo stesso territorio. Alcuni lettori hanno pensato che nel libro mi sia servita di una storia d’amore per alludere alla situazione mediorientale. Semmai è vero il contrario: la geopolitica, per me, è un modo per avvicinarmi alla complessità dei sentimenti». Importa che i protagonisti siano entrambi intellettuali (lei è traduttrice, lui ha ambizioni di artista) e importa che il loro incontro avvenga a New York: «Per chi viene dalle terre assolate del Levante l’esperienza dell’inverno americano è davvero impressionante – osserva l’autrice – ed è proprio il gelo di Manhattan a rafforzare inizialmente il rapporto fra Liat e Hilmi. Ma ad attrarli l’uno verso l’altra è anzitutto quella sensazione di incompletezza, quell’insoddisfazione latente che è caratteristica di chi legge, scrive e, in genere, cerca fuori di sé qualcosa che dia forza. Una fame di vita, insomma, un desiderio che non si può spiegare». Narrato dalla voce di Liat,
Borderlife è contraddistinto da un finale tutt’altro che consolatorio. «Nulla di calcolato – afferma la scrittrice –. Il punto è che c’è sempre qualcosa che contrasta con la nostra volontà. Vorremmo essere liberi, ma ci accorgiamo che i confini, tanto detestati, passano anche dentro di noi, sono una specie di calco nel quale siamo modellati e del quale non possiamo sbarazzarci tanto facilmente. E non mi riferisco soltanto ai confini politici. Il primo limite è sempre rappresentato dalla natura, è la resistenza che la terra oppone al mare, e viceversa. Per comprendere il Medioriente la storia è utile, ma non basta. La geografia, a saperla interrogare, rivela molto della nostra condizione».
Alessandro Zaccuri © RIPRODUZIONE RISERVATA Oggi a Torino l’autrice ebrea di «Borderlife», accusata di favorire le coppie miste: «Ma i primi limiti passano in noi» Dorit Rabinyan