Zaini trasformati in farmacie ambulanti e fisici imbottiti di sostanze che ne migliorano le prestazioni, indebolendo però la sensazione di stanchezza e pericolo. È allarme doping anche in montagna, dove è sempre più diffuso l’abuso di farmaci senza controllo medico. L’ultimo segnale in ordine di tempo arriva dalla Francia, con la ricerca “ Drug use on Mont Blanc”, realizzata dall’École nationale de ski et d’alpinisme (Ensa) di Chamonix e pubblicata sulla rivista scientifica Plos One. Piazzando dei semplici raccoglitori d’urina in due rifugi (il Gouter a 3.835 metri e il Cosmiques a 3.613 metri), lungo la via normale francese di salita al Monte Bianco (4.810 metri) gli studiosi sono così riusciti ad analizzare i campioni di 430 alpinisti, tutti di sesso maschile, scoprendo che il 35,8% fa uso preventivo di farmaci contro il male acuto di montagna. Addirittura peggiori e ancora più allarmanti, i dati raccolti in Italia e resi noti durante un incontro pubblico promosso dal Club alpino a Bressanone. Secondo questa indagine, il 60-70% di alpinisti, sciatori e arrampicatori fa un uso improprio di farmaci per migliorare le prestazioni o per evitare il malessere legato all’alta quota.
«Quando si superano i tremila metri – spiega Luigi Festi, presidente della Commissione Centrale medica del Cai – la pressione parziale di ossigeno diminuisce e a 5.500 metri è circa la metà rispetto a quella registrata a livello del mare. Questo comporta difficoltà respiratorie con conseguente ipossia e male acuto di montagna. Nei casi più gravi, questi sintomi possono evolvere in edema polmonare potenzialmente mortale».
Per prevenire questo malessere, l’alpinista deve avvicinarsi gradualmente all’alta quota, osservando un giusto periodo di allenamento e acclimatamento. Una pratica che, osserva il dottor Festi, tra i massimi esperti in Italia di queste problematiche, è sempre meno diffusa tra gli appassionati, che tendono invece ad ottimizzare al massimo il tempo trascorso in quota. «Succede così – schematizza Festi – che volendo assolutamente arrivare in vetta al Monte Bianco nei tre giorni di ferie a disposizione, si assumono farmaci che aiutano a superare il mal di montagna, evitando di effet- tuare l’acclimatamento». Tra i più utilizzati c’è il Diamox, un acetazolamide usato per combattere l’ipertensione. Ha proprietà diuretiche e di acidificazione del sangue che porta a un aumento dell’atto respiratorio, compensando così la carenza di ossigeno dell’alta quota. «Oltre a importanti reazioni allergiche – spiega il dottor Festi – questo farmaco porta velocemente alla disidratazione, già di per sé accelerata in montagna, con effetti che possono essere letali. Inoltre, l’abuso di questa sostanza può comportare anche un fenomeno trombotico rilevante, con tutte le implicazioni del caso».
Un secondo farmaco in uso tra gli alpinisti, anche se meno conosciuto, è il Desametazone, un cortisonico a rapido assorbimento, che ha la funzione di diminuire la cefalea, tra i sintomi principali del mal di montagna. Infine, diffusi soprattutto tra gli appassionati dell’ultratrail, le lunghe corse in montagna, gli infiammatori, che tolgono il senso di fatica e di dolore muscolare. «In questo modo, però – osserva ancora Festi – tutti questi farmaci alterano la percezione del pericolo legato all’ipossia e chi li utilizza può più facilmente andare incontro all’esaurimento delle capacità muscolari, restando in riserva d’energia quasi senza accorgersene. Arrivati a questo punto, i margini di manovra sono veramente ridotti e anche un eventuale intervento del Soccorso alpino avrebbe una minore efficacia. Il medico, infatti, non potrebbe più somministrare farmaci che l’infortunato ha già assunto in via preventiva, perché non avrebbero l’effetto desiderato. In sostanza, ci sarebbe ben poco da fare». Oltre a serie implicazioni di carattere sanitario, l’abuso di farmaci ha anche risvolti di natura etica, altrettanto importanti. Per entrambe queste ragioni, da sempre il Club alpino italiano combatte questa pratica, favorendo una corretta comunicazione ed educazione degli appassionati, attraverso il lavoro sul territorio delle Sezioni.
«Detto che montagna è libertà e che esiste anche il diritto di rischiare – precisa Festi – credo non si debba mettere in secondo piano il dovere di rispettare sé stessi e, allo stesso modo, gli altri. Oltre il rispetto dovuto alla montagna e alla società. Che, per esempio, mette a disposizione di tutti i frequentatori della montagna i tecnici del Soccorso alpino. Uomini che rischiano la propria vita per salvare quella degli altri. Che, quindi, dovrebbero approcciare la montagna in modo libero, ma consapevole e responsabile. Arrivare in cima è senz’altro una bella soddisfazione, ma la vetta non è obbligatoria e non è tutto. Prima viene la salute e il rispetto della vita. La propria e quella degli altri».