Un particolare dal ciclo pittorico "Exodus" di Safet Zec
«Non è semplicemente un ministero di liberazione, ma di consolazione». Don Sante Babolin ci tiene a precisarlo. Il concetto, oltre ad avere profonde ed evidenti radici bibliche è ribadito nel nuovo Rito degli esorcismi varato dalla Cei nel 2001. La consolazione, aggiunge don Sante «è opera dello Spirito Paraclito che, appunto, è consolatore. Gesù stesso promette consolazione: 'Beati gli afflitti perché saranno consolati' (Mt 5,4), o anche 'Beati voi che ora piangete, perché riderete' (Lc 6,21). Ma soprattutto - sottolinea cercando il testo nella Bibbia sulla scrivania - Dio "ci consola in ogni tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio" (2 Cor 1,3-4). E in questa società c’è tanto bisogno di accogliere gli afflitti. Non sempre si riesce a risolvergli i problemi, ma si può pregare, stare loro vicini con rispetto e carità, soffrire con loro riaccompagnandoli a Gesù e al suo abbraccio di consolazione».
Un impegno che per don Sante è indifferibile, essenza del suo essere prete e testimone di Cristo, e il nostro incontro volge rapidamente al termine proprio dopo la telefonata di un bisognoso di consolazione. Don Sante è alle soglie degli 84 anni. Per oltre 30 è stato docente di filosofia, estetica e semiotica alla Gregoriana. Tornato a Padova, la sua diocesi, gli è stato conferito dall’allora vescovo Antonio Mattiazzo «il ministero di accogliere le persone con disagi dell’anima e la licenza di celebrare il rito dell’esorcismo». Era il 2006 e monsignor Mattiazzo, come l’attuale vescovo Claudio Cipolla che lo ha confermato, gli ha dato l’incarico di «costruire» e «coordinare » nella diocesi una squadra di esorcisti (oggi sono 8) con la consulenza di uno psichiatra. Don Sante è anche il fondatore di una comunità di laici e sacerdoti che dagli anni ’70 è presente in alcune località del Nord Italia.
Lo incontriamo nel suo appartamento, in una palazzina nell’hinterland padovano abitata da alcune famiglie della comunità, fra tanti libri, numerose icone e una cappellina con una bella immagine della Madonna di Guadalupe alla quale è particolarmente devoto dagli anni in cui ha insegnato alla Pontificia università del Messico. Non a caso, fra i tanti libri di filosofia, di spiritualità e di semiotica da lui scritti, oltre a L’esorcismo. Ministero della consolazione (Ed. messaggero Padova 2014), forse il più efficace e completo libro mai pubblicato su questo tema, spicca Icona e conoscenza (Libreria Gregoriana editrice, 1990) dedicato al dialogo fra immagine e Parola nell’iconografia cristiana.
Sono tante le persone con problemi spirituali?
«Tante. Ma una minima parte ha problemi di possessione. Molte hanno bisogno di una guida che le riavvicini a Gesù e ai sacramenti. Ad altre propongo un percorso di riconversione: una catechesi e un cammino spirituale per giungere, convinti, a rinnovare le promesse battesimali la notte di Pasqua. A conclusione di questo percorso, ai piedi della croce con la presenza del prete, chi ha più bisogno dichiara e abiura tutto ciò che ritiene (alla luce del percorso di catechesi fatto insieme) lo abbia allontanato dalla Verità, quindi consegna tutto se stesso a Gesù: “Ora che ti ho ritrovato non permettere che ti abbandoni un’altra volta". Su migliaia di casi posso dire che quasi tutti rinascono a nuova vita».
Ma perché così tanti giungono a soffrire di questi malesseri?
«Perché siamo in un mondo che ci spinge lontano dalla salvezza di Cristo e spesso nella Chiesa non si dà testimonianza della fede vera e questo disperde. Noi sacerdoti dimentichiamo che è il Signore a nutrire la sua Chiesa e si serve di noi per portare la sua Parola, non la nostra».
La Parola attrae?
«Non cessa mai di attrarre. E il sacerdote quando offre la Parola diventa un riferimento. La Parola viva è un riferimento irresistibile. Per questo mi preme di sottolineare che la Messa non è un teatro. Chi viene a messa si rende conto... e per il teatro non serve andare in chiesa. Anche per questo il prete deve essere il primo a sentire e vivere il grande mistero che è chiamato indegnamente a presiedere. Con i miei gesti e il mio modo di fare posso annullare quello che ho detto con la bocca, mentre il contrario non accade. Bisogna lavorare tanto su questo perché è la parola di Dio che cambia le persone, ma per renderla viva bisogna aver realizzato una consegna piena a Gesù, assoluta, senza riserve».
È la Parola che consola?
«Consola e rende liberi. Questa è la forza del percorso di catechesi di cui ho parlato».
Lo farà anche quest’anno?
«In una chiesa nel centro di Padova, non so ancora quale, durante la Quaresima, ogni venerdì sera per poi incontrare il sabato mattina chi vuole approfondire. Un percorso di riscoperta della fede aperto a tutti».
I giovani vengono?
«Di solito sì. E dopo il primo giorno diventano più numerosi. Ripeto, la Parola attrae. Il mio compito è di renderla viva e presente perché necessaria alla mia vita. Allora diventa desiderabile, una discesa dello Spirito Santo, vera consolazione e scoperta di libertà».
Saranno tanti a stupirsi di una simile scoperta...
«...anche i fedeli di ogni domenica, perché nessuno ha loro insegnato a vivere i sacramenti come rinnovamento della vocazione cristiana, come pienezza di vita. È fondamentale vivere pienamente tutte le grazie che già possediamo. Noi siamo del Signore e il Signore è in noi».
Anche la sofferenza mette in crisi, allontana da Dio.
«Ma, ripeto, Dio è in noi... Spesso sentiamo una distanza che non esiste. Bisogna imparare a vivere il tesoro di grazia che portiamo nel cuore. Assieme al Signore tutta la vita acquista significato... anche la sofferenza. Noi credenti abbiamo il compito di accompagnare. Così se uno è malato vado a trovarlo, prego con lui, lo benedico e lo Spirito consolatore agisce. Anche noi preti dovremmo credere di più in quello che abbiamo ricevuto non per noi stessi, ma per donarlo».
E le coppie in crisi?
«Il matrimonio... Per me è stata una grande scoperta. Quando l’ho capito ho pianto. E se gli sposi sapessero, tante crisi non avrebbero alcun senso».
Cosa intende dire?
«Ero in preghiera davanti a Gesù nel tabernacolo. Pensavo allo Spirito Santo, che è un dono che si riceve e va donato. L’ho collegato al matrimonio e ho capito la grandezza di questo sacramento. Lo Spirito Santo è amore e il matrimonio è sacramento dell’amore. Il sacramento sigilla l’amore fra i coniugi. Attraverso la sua Chiesa, Gesù si impegna: ogni volta che gli sposi si amano lui scende, lo Spirito Santo scende e si dona nell’amore reciproco. Amandosi i coniugi donano e ricevono lo Spirito Santo l’uno dall’altro. Fanno comunione. Da quel giorno approfitto di tutte le occasioni per parlarne e in un recente triduo di catechesi in una parrocchia, una persona mi ha detto che quanto avevo spiegato sul matrimonio lo aveva sempre pensato perché amando sua moglie lui sentiva che era come fare la comunione, ma lo teneva per sé perché credeva fosse una cosa sbagliata, sacrilega. Invece è questa la vera realtà del matrimonio cristiano: Gesù scende e trasforma l’unione come il pane nell’Eucarestia. Per questo il diavolo insinua dubbi sull’importanza del matrimonio».
Perché oggi è difficile trasmettere la fede?
«Perché non si insegna a nuotare senza nuotare. Quando offri la Parola devi avere consapevolezza d’essere un tramite e il buon tramite non crea impedimento al Signore che parla. Il tramite è umile, accoglie e ama, non alza barriere, non rimprovera, non carica pesi su chi ha bisogno d’essere consolato. Il tramite è aperto allo Spirito, sa che il Signore misericordioso lo ha affidato a un angelo custode e alla comunione con i fratelli: la sua vita è spirituale. Non basta dire di avere fede per comunicare la fede».
A proposito di angeli, che relazione ha col suo?
«Ringrazio il Signore perché lo sento sempre vicino e se chiedo aiuto trova il modo di ispirarmi la risposta».