Dalle opere giovanili al mosaico del Santo Scolaro nella chiesa di Sant’Andrea a Barbiana. Firenze apre gli spazi di Palazzo Medici Riccardi, al primo piano, nella sede della Provincia, per la prima completa mostra di opere artistiche di don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana (1923-1967). Si tratta in larghissima parte di lavori che precedono e in un certo senso preparano la sua conversione. Realizzati tra Milano, dove la famiglia si trasferisce nel 1930 e dove studia al liceo Berchet, frequenta l’Accademia di Brera tra il ’41 e il ’42 e apre uno studio di pittore, e Firenze, dove la famiglia torna definitivamente alla fine del ’42 e dove, nel ’43, lui entra in seminario. Su progetto della Fondazione dedicata al priore, in collaborazione con la Provincia di Firenze, la mostra, a cura di Cesare Badini e Sandra Gesualdi, sarà allestita da Bernardo Delton e resterà aperta dal 5 giugno al 24 luglio. «Circa un anno fa una delle due nipoti di don Milani ci ha contattato – racconta Sandra Gesualdi – per dirci che avevano ritrovato i quadri di Lorenzo e aveva piacere che organizzassimo una mostra per renderli pubblici». Una mostra, con alcuni quadri e soprattutto disegni anatomici, si era svolta nel 2009 sempre a Firenze, ma la prossima esposizione rappresenta la prima offerta completa dell’opera pittorica. «Abbiamo contattato parenti e raccolto testimonianze, interviste, dati – continua Gesualdi –. Un percorso lunghissimo che ha portato alla luce aspetti nuovi del priore, evidenziando il fervore culturale in cui è cresciuto». Saranno esposti oltre trenta dipinti su tela e tavolette, più di venti disegni tra la serie anatomica e la serie accademica, anche schizzi – ed è una novità – di disegni barbianesi, i mosaici e anche un filmino su una lezione di pittura a Barbiana». Proprio nelle lezioni con i ragazzi di Barbiana, affioravano accenni di don Lorenzo al periodo giovanile, quando parlava dei colori del tramonto, della scoperta del tendine di Achille o accennava alle visite a chiese e conventi per studiare la tecnica degli affreschi, «salvo poi perdere l’interesse artistico – ricordano alcuni suoi allievi – quando i monaci intonavano inni religiosi in gregoriano, che toccavano nel profondo». Rimangono 80 opere tra dipinti e disegni, provenienti da collezioni private, realizzati da un appassionato studente tra i 18 e i 20 anni, frutto in parte delle lezioni apprese da Hans-Joachim Staude (1904-1973), pittore che dopo un’immersione nell’espressionismo si era poi dedicato all’osservazione della natura e quindi si era avvicinato all’impressionismo; e di quelle dei pittori Bruno Cassinari (1912-1992) ed Ennio Borlotti (1910-1992). Nello straordinario "Autoritratto" sembra evidenziarsi con una certa incisività il filone mitteleuropeo (la madre Alice Weiss, peraltro, veniva proprio da quel contesto geografico e culturale) che fa pensare anche a Egon Schiele. Note sono anche la lettura che Milani fece in quegli anni di Le Corbusier e, successivamente, l’amicizia con l’architetto Giovanni Michelucci (1891-1990), che salirà più volte a Barbiana. La mostra aiuta, dunque, la tessitura di una più puntuale ricognizione biografica per illuminare l’interiorità di Lorenzo Milani da giovane. Entrato in seminario, tornò a visitare in Oltrarno Staude (non cattolico, vicino al buddismo) al quale attribuirà la propria conversione. «Tu mi hai parlato – gli dirà – della necessità di cercare sempre l’essenziale, di eliminare i dettagli e di semplificare, di vedere le cose come un’unità dove ogni parte dipende dall’altra. A me non bastava fare tutto questo su un pezzo di carta. Non mi bastava cercare questi rapporti tra i colori. Ho voluto cercarli tra la mia vita e le persone del mondo. E ho preso un’altra strada». Nel luglio ’73 Alice Weiss, madre di Milani, scriverà a Renate Staude, moglie di Hans-Joachim, rimasta da poco vedova. «…Penso molto a Lorenzo – scrive Alice – che in Staude ha avuto il suo primo maestro. Maestro di serietà, di coscienza, di quella ricerca dell’assoluto nel bene e nel bello che poi ha portato Lorenzo alla sua strada». Vi sono altri elementi convergenti, come la pausa estiva del ’42 nella villa di famiglia a Gigliola (Montespertoli), dove avrebbe dipinto la cappella annessa e dove rinviene un messale che lo appassiona (scrive a un amico che: è più interessante dei personaggi in cerca di autore di Pirandello), le lunghe passeggiate e le visite alle chiese di Milano con l’amica Carla Sborgi, e quel decisivo colloquio nel giugno del ’43 con don Raffaele Bensi (1886-1995) proprio davanti a Palazzo Medici Riccardi, che guidò i passaggi del suo ingresso in seminario nel novembre dello stesso anno. Sul retro di un santino don Milani scriverà anni dopo le date fondamentali della sua vita apponendo su di esse una citazione del libro della Sapienza: «A chi non capiva è parso ch’io morissi».
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