Oggi, al tempo di internet, la verità si è immanentizzata, è discesa dal suo piano ideale e trascendente e si è fatta terrena, (molto) mondana. Potrebbe anche essere un bene se si chinasse come madre premurosa – o come il Logos – per prendere in braccio la sua creatura e poi elevarla all’altezza del suo volto. Andando sempre per immagini, però, essa appare più un passerotto caduto dal ramo, preoccupantemente gonfio, che non tenta nemmeno di rialzarsi in volo. C’è stato un tempo filosofico in cui la verità rifulgeva dal suo mondo iperuranico e inondava di luce il nostro cosmo, facendone risaltare l’umbratilità; è succeduto poi il tempo scientifico in cui la verità aveva la forma – pur dignitosa assai – della legge che regola il divenire dei fenomeni; oggi, al tempo internettiano, la verità è il complotto da indovinare dietro la notizia. “Tempo internettiano” sta, in senso lato, per l’epoca della pervasività della comunicazione, dei mass media, di quella tanto decantata età dell’informazione che fa chiedere, perplesso, a David Gelernter: «Ma su che cosa saremo poi così bene informati?» (
È tempo di prendere internet seriamente). Dapprima l’umanità ha abitato la realtà del mito, quindi quella metafisica, poi quella fisica, adesso quella mass mediale. Concessa la cosa più desiderabile, Salomone prescelse la sapienza e lo stesso avrebbe probabilmente risposto Platone; un Voltaire o un Comte avrebbero forse richiesto qualcosa di relativo al Big bang; l’homo
internetticus chiederebbe cosa c’è per davvero dietro i fatti dell’11 settembre. Il filosofo Eric Voegelin a più riprese ha sostenuto l’idea dell’immanentizzazione dell’eschaton per designare la tendenza moderna a ricercare la salvezza in un ordine politico e sociale interno a questo mondo. Da quel concetto si può mutuare l’espressione “immanentizzazione della verità”. Voegelin parlava anche, a questo proposito, di una gnosi eretica, una gnosi cristiana e una gnosi totalitarista. Nella nostra epoca siamo arrivati alla gnosi complottista: la vera conoscenza è sapere cosa in verità nascondano le notizie che giornali e tv ci propinano. Un tempo il dubbio metodico conduceva all’“Io penso”; oggi il dubbio compulsivo presuppone solo l’“Io guardo la tv”. Un tempo si ascoltavano (e perseguitavano) i profeti; poi gli scienziati; oggi i nuovi “profeti perseguitati” sono soggetti come Snowden e Assange, che svelano la verità del complotto. Trovando sbarrata la strada verso il suo naturale oggetto trascendente, il desiderio di verità si smarrisce nelle direzioni più astruse. Vivendo comunemente in un mondo di notizie, informazioni e rapporti virtuali, ecco che la verità dovrà essere cercata dietro tutto questo, perché è essenziale, per la verità, che vi sia un Oltre e un Dietro.
Dietrologia, ha intitolato il suo libro Fabri Fibra che, come molti colleghi rapper, sa annusare la temperie culturale con un certo talento. Le teorie complottiste si sono talmente diffuse che Thom Burnett si è incaricato di comporre addirittura un’Enciclopedia
delle cospirazioni con una suddivisione in capitoli in cui si stagliano le fantomatiche verità sui decessi famosi (Elvis Presley, Lady D, Papa Luciani …), sull’uso “politico” delle biotecnologie (scie chimiche, vaccini, virus …), sulle cause artefatte per giustificare operazioni belliche. Per quest’ultima categoria, una sezione a sé è riservata ad al-Qaeda. Rob Brotherton, nel libro
Suspicious Mind. Perché crediamo alle teorie complottiste riporta la statistica secondo cui il 50% degli americani reputa che il governo nasconda la verità sulla tragedia delle Torri gemelle, il 40% è propenso a credere che il cambiamento climatico sia una frode scientifica e un terzo è convinto che i politici celino la verità sugli alieni, come l’Area 51
docet. Sarà del tutto innocente – avanza qualche “dietrologo” dinanzi a questi dati – la promessa di Hillary Clinton di desecretare i documenti riservati sugli Ufo, qualora vincesse le elezioni presidenziali? Fuori dall’America, invece, è consolidato il sospetto che il primo sbarco sulla Luna sia stato un allestimento scenografico della Nasa, con decine di goffi errori, peraltro. David Grimes, dell’Università di Oxford, qualche settimana fa ha pubblicato lo studio
Sulla vitalità delle credenze complottiste tramite cui dimo-stra, con algoritmi e parametri scientificamente dettagliati, che se lo sbarco sulla Luna del 1969 fosse un falso sarebbero coinvolte nella cospirazione 411.000 persone: un numero un po’ troppo consistente per tener gelosamente custodito un segreto per quasi cinquant’anni. Sembrerebbe tuttavia di poter dire che contro la forza (del dubbio), la ragion non vale. E azionando questo impulso, trasmissioni tv incentrate su insostenibili “misteri” aumentano il loro share; siti web accrescono il numero degli “Mi piace”; leader politici ingrassano il loro consenso. L’autore di
Suspicious Mind conclude che il complotto non è da ricercare negli eventi, ma nei nostri «cento miliardi di neuroni piccoli cospiratori ». Saremmo, insomma,
natural born complottisti. Una tesi psicologica traducibile, teologicamente, nel principio per cui l’essere umano è stato creato con il bisogno di verità – così come con quello d’infinito – e il suo cuore è inquieto fino a che non l’ha trovata. E non si sazia certo con il surrogato delle piccole verità immanenti. Perché allora tanta attenzione a queste ultime? Ci può aiutare forse il passante dell’aneddoto che, vedendo di sera un uomo chino sotto un lampione intento a cercare il suo mazzo di chiavi, chiede se è proprio certo di averle perse lì. Risposta: «In realtà mi sono cadute in quell’angolo buio laggiù in fondo, ma qui c’è molta più luce».
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