sabato 4 aprile 2020
La maratoneta azzurra fa la pediatra all’ospedale di Aosta e a 49 anni (nel 2021) dopo Rio ci riproverà ai Giochi giapponesi.
La maratoneta Catherine Bertone al rientro in reparto al Beauregard

La maratoneta Catherine Bertone al rientro in reparto al Beauregard

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Una vita d’atleta: dalla corsa alla corsia. È la doppia vita della maratoneta azzurra Catherine Bertone. Una vita di rinunce, di allenamenti strappati al lavoro di medico al pronto soccorso pediatrico dell’ospedale di Aosta, per continuare a coltivare un sogno: arrivare alle Olimpiadi di Tokyo 2021, e farlo da atleta in zona guinness, alla soglia dei cinquant’anni. Catherine infatti è una mamma-atleta classe 1972. Una maratoneta di talento arrivata al traguardo della Nazionale in ritardo, proprio perché ha sempre dovuto conciliare, sport, lavoro e non ultimo, il ruolo di madre a tempo pieno di due bambine: «Corinne 13 anni e Emilie 10». Più o meno l’età di alcune bambine che ha dovuto soccorrere in quanto risultate positive al Coronavirus. «Sono casi sporadici per fortuna, ma ci sono. Così come purtroppo questa pandemia sta mettendo a dura prova il sistema nervoso dei più piccoli. Stiamo lavorando tutti tanto noi medici, ma anch’io lancio l’appello: evitiamo paroloni ed etichette roboanti tipo “eroi”. Stiamo solo facendo il lavoro che abbiamo scelto. Il mestiere di medico semmai è una “missione” qui in Italia, visto che ci si accorge solo adesso dello stato di precarietà in cui siamo costretti a lavorare. Ovunque mancano medici, infermieri, strumentazioni e spesso ti ritrovi a fare tutto il contrario di quello che ti avevano insegnato all’università».

Parole amare quelle della dottoressa Bertone, laureata in Medicina a Torino e specializzazione in Pediatria con esperienze sul campo all’estero, a Parigi e Londra. Catherine marca il cartellino all’uscita, e per tornare a casa passa davanti ai padiglioni dell’emergenza. «Alla geriatria e all’Utic sono stati creati dei reparti di rianimazione per i malati di Covid-19. Proprio ora la Protezione Civile sta montando una tenda per fare pronto intervento nel piazzale della funivia di Pila. Aosta con il picco è lievemente indietro rispetto al vicino Piemonte, ma nelle case di cura è un ecatombe, questa è una regione ad alta densità di popolazione anziana... Preoccupata? Mia mamma abita ad Orbassano, esce solo per fare la spesa, la chiamo continuamente. Mia suocera sta a Biella, vive barricata in casa...». È la mamma di suo marito, Gabriele Beltrami, atleta anche lui di livello, un campione tra i master del podismo. «Con Gabriele ci siamo conosciuti correndo. Senza di lui non avrei mai potuto lavorare e ottenere certi risultati sportivi... E adesso ci diamo forza, come sempre, per superare questo momento difficile. È uno scenario drammatico, io per fortuna mi tiro su con la sala parto dove vedo ancora nascere nuove vite. Speriamo – sorride Catherine – che, almeno in questo tempo di “clausura”, le coppie stando più in casa mettano al mondo più bambini».

I figli dell’era del Coronavirus: ad Aosta ci sono state 850 nascite nel 2019. Un dato forse migliorabile, così come la Bertone, proprio nella sua città a fine ottobre aveva migliorato il record personale nei 21,097 a 1h12:39. La primatista mondiale master W45 (in 2h28:34), classificatasi 25ª alle Olimpiadi di Rio 2016, dopo l’ottavo posto agli Europei di Berlino 2018 («la gara più emozionante, c’era tutta la famiglia ad aspettarmi all’arrivo e salutavo le mie ragazze al passaggio ogni 10 km») gli era stato comunicato - dall’assessore alla sanità in persona - che poteva allenarsi in serenità, senza il fardello della turnazione ospedaliera. Una mezza fake, dato che agli ultimi Mondiali di Doha, per non mettere in difficoltà i colleghi di reparto la dottoressa Bertone si è presentata puntuale al suo turno al Pronto Soccorso, rinunciando alla kermesse iridata. «Dispiace certo, ma è andata così, e non mi sono certo arresa. Ho continuato ad allenarmi e a fine aprile l’appuntamento era ad Hannover per strappare il tempo necessario per Tokyo. Ci riproverò... Paura dell’età per le Olimpiadi del 2021? Ho sentito la Pellegrini e Zanardi ragionare del loro problema anagrafico, ma io anche da medico so che qualche mese in più a livello biologico non cambia la sostanza. Basta arrivare fisicamente a posto e preparati. E io farò di tutto per esserci in Giappone e per recupera- re questo tempo, in parte perduto». Questo è il tempo degli allenamenti in giardino. «Addio ai 15 km all’aria aperta che correvo tutti i giorni prima del virus, ma almeno c’è uno sterrato davanti casa dove faccio le mie 25 ripetute quotidiane. E poi abbiamo un tapis roulant in condivisione con i vicini...».

Ha la freschezza della ragazzina al debutto la Bertone e fa un po’ specie che il movimento azzurro ai prossimi Giochi debba puntare su una quasi cinquantenne. Ma le giovani maratonete dove sono? «È una domanda che mi faccio spesso anch’io. Magari da qui al prossimo anno esce qualche talento, e ben venga. Per ora i giovani faticano ad emergere oppure evitano la maratona, perché il nostro è uno sport dove girano pochi soldi e la fatica è tanta. Ma io, se la salute mi assiste vorrei andare avanti anche dopo Tokyo, perché per me la maratona è una “droga”, ovviamente sana».

Sana, appunto, perché lo spettro del doping ha stroncato la carriera del più grande marciatore azzurro, l’oro di Pechino 2008 Alex Schwazer. «La sua storia è molto triste e da qualsiasi angolazione la si guardi Schwazer è una vittima, sia prima che dopo la vicenda del doping. Arrivare ai Giochi del 2021 per lui sarebbe un’autentica rinascita». Per allora anche il mondo intero si spera sia rinato. «Sicuramente – conclude Catherine – . Ora non dobbiamo farci prendere dall’ansia e sperare in una terapia che abbatta il virus. La conta giornaliera delle vittime non aiuta, servono invece pensieri leggeri, darsi degli obiettivi futuri. In compenso stiamo tutti imparando una grande lezione: che si può vivere con poco e ci si deve accontentare delle cose più semplici, che sono poi quelle più umane. Prego Dio? La corsa per me è una preghiera, perciò è come se pregassi tutti i giorni, per me, per la mia famiglia, per tutto il mondo che soffre tanto. Ma finirà questa sofferenza».

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