«Viva Carlo Acutis!». Il grido è risuonato assieme agli applausi sui titoli di coda alla prima di El cielo no puede esperar («Il cielo non può attendere»), al cinema Callao di Madrid. Dall’uscita, il 24 febbraio, il primo film dedicato al beato Carlo, morto appena quindicenne nel 2006 per una leucemia fulminante e beatificato il 10 ottobre 2020 nella basilica di San Francesco ad Assisi, ha ricevuto una calorosa accoglienza in Spagna e in America Latina. Soprattutto da parte dei giovani. «È nella top ten spagnola dei film per numero di spettatori e sale, davvero un buon riscontro per l’unico film con valori spirituali in cartellone », commenta l’autore e regista spagnolo José Maria Zavala, che firma il biopic. In 78 minuti, questo film-documento biografico ritrae i gesti quotidiani, anche piccoli, di Carlo, ragazzo allegro, socievole, appassionato di videogame, informatica e sassofono, amante della vita, con mille progetti di futuro. E che quando fu colpito dalla malattia, grazie alla sua profonda fede, riuscì a dare un significato trascendente alla sua sofferenza, offerta come fonte di bene per gli altri. Una figura che si sta rivelando molto attrattiva per i giovani di ogni latitudine, tanto che Carlo sarà uno dei 13 patroni del grande raduno alla Gmg di Lisbona dall’1 al 6 agosto con il Papa, che l’ha citato più volte in discorsi e documenti, come nell’esortazione apostolica Christus vivit del 2019. Attraverso una decina di testimonianze di persone che hanno vissuto una svolta nella propria esistenza grazie all’incontro con la figura del giovane beato, El cielo no puede esperar lancia «un appello universale alla santità», nelle parole della madre Antonia Salzano, la voce narrante nel film. «Carlo è il santo della porta accanto, un ragazzo normale, adatto al nostro tempo. Ci ricorda che tutti, senza eccezione, siamo chiamati alla santità, senza bisogno di fare cose straordinarie ma amando umilmente Dio e il prossimo », spiega ad Avvenire il regista José Maria Zavala – che è anche scrittore e giornalista –, fra le cui pellicole ci sono anche El misterio del Padre Pio (2018), Renacidos del Padre Pio (2019), Wojtyla: la investigación (2020) e Amanece en Calcuta (2021).
Senta Zavala, ci spiega come è nato il progetto?
La notizia della beatificazione di un ragazzo di 15 anni da parte di papa Francesco ha impressionato i miei figli, Ines e Borja, 21 e 22 anni. I loro cellulari sono stati inondati di messaggi su Whatsapp di coetanei interessati alla vita di Carlo. Ci è sembrato importante portare la sua storia sullo schermo, rispondendo a una chiamata interiore.
Nacho, il protagonista che interpreta Carlo, ha con lui una somiglianza notevole e non è un attore professionista: come l’avete scelto?
È stata una causalità più che una casualità. Nacho ha offerto la testimonianza della sua guarigione. Aveva un linfoma per il quale i medici gli avevano dato pochissime speranze di vita. Con i suoi familiari e gli amici ha pregato Carlo Acutis e ora sta bene. Gli abbiamo proposto di partecipare alle riprese e gli è sembrata un’idea magnifica.
A chi è diretto il film?
A tutti i tipi di pubblico, ai giovani, ai loro genitori, ai nonni, ma anche alle persone che sono lontane da Dio. E sta già dando i suoi frutti, poiché ci hanno segnalato casi di giovani che, dopo aver visto il film, sono andati a confessarsi.
Più che un documentario è una biografia sceneggiata. Perché ha scelto di non ricorrere a testimonianze dirette di amici, compagni di sport e professori di scuola che hanno vissuto con Carlo la quotidianità?
La pellicola è in parte fiction e in parte documentario, perché la realtà supera di gran lunga l’immaginazione. Quando abbiamo cominciato a pensare al film, durante il lockdown, era quasi impossibile localizzare i testimoni diretti. Ma la testimonianza della madre Antonia, che è il filo conduttore, è di enorme importanza poiché è la persona che meglio ha conosciuto Carlo, racconta la sua educazione, i suoi pregi e i suoi difetti. Io però volevo andare oltre la biografia, per mostrare il suo ruolo di intercessore per persone di diversa provenienza sociale, giovani o meno giovani.
Le voci raccolte nel film raccontano come l’incontro con il beato abbia avuto il potere di trasformare la loro esistenza: c’è chi è stato curato o chi si è convertito, pur non avendo conosciuto Carlo in vita.
Sì, non è necessario aver conosciuto un santo di persona per esserne ispirati. Parlo per esperienza personale. Io non conoscevo Padre Pio, al quale oggi sono molto devoto, e grazie al quale ho avuto una conversione nel 2009, dopo 15 anni trascorsi senza entrare in chiesa. Allo stesso modo ci sono persone in questo film che non hanno conosciuto Carlo ma hanno potuto verificare sulla propria pelle come le abbia aiutate a guarire, in modi diversi. Ad esempio Walter, un ragazzo rimasto intrappolato nella rete della pornografia, vittima di abusi sessuali durante l’infanzia, che grazie a Carlo ha potuto sanare le ferite.
Come è stata invece la sua conversione?
Fu una sera in cui alcuni amici mi invitarono a casa a vedere il film in due parti prodotto dalla Rai sul frate di Pietrelcina. Fino a quel momento ero un giornalista di successo, avevo lavorato nel quotidiano El Mundo dalla sua fondazione, ero un assiduo dei dibattiti tv, avevo pubblicato 40 libri con le case editrici più diffuse in Spagna, Planeta e Random House, su argomenti storici, da esperto delle case reali europee. Ma quell’esperienza di autentica spiritualità di Padre Pio ha fatto irruzione nella mia vita, ed è diventata uno spartiacque. Da allora ho focalizzato la mia carriera su opere che potessero fare il bene degli altri. Il mio libro su Padre Pio, nel 2010, servì a far conoscere meglio il santo italiano qui da noi, e da allora ha accumulato venti edizioni, tradotto anche nella vostra lingua. Ma c’è anche il saggio su Madre Speranza, edito in Italia da Piemme, che aiuta la divulgazione di una grande figura di intercessione per i tempi odierni. Da Harper & Collins è appena uscito El reloj del Apocalipsis, dove rileggo le Sacre Scritture e le apparizioni mariane con un taglio attuale.
Nella campagna per il lancio del film Carlo Acutis è descritto come “l’influencer di Dio”: in che senso è diventato un fenomeno fra i giovani? E’ stata questa una delle spinte per cui i suoi figli sono i produttori esecutivi del film?
La mia conversione è stata seguita da quelle di Paloma, mia moglie, e dei nostri figli. Sia Ines che Borja sono ragazzi del loro tempo. La prima sta terminando le magistrali, il secondo studia per la laurea in Comunicazione audiovisiva. Hanno familiarità con le nuove tecnologie e le reti sociali, e hanno constatato come tutti questi strumenti possano servire per evangelizzare e portare Dio a molte persone. Come Carlo, vanno tutti i giorni a Messa e hanno visto nel beato una sorta di specchio in cui si scoprono riflessi. Nonostante la giovane età, hanno già esperienza perché hanno partecipato ai miei film precedenti. Ora sono i miei produttori esecutivi, di fatto i miei unici capi.
Ci sono stati momenti di crisi e di difficoltà?
C’è tanto lavoro da fare, tante le difficoltà tecniche, economiche. Più volte siamo stati sul punto di gettare la spugna, ma poi con l’aiuto di Dio il progetto è andato in porto. A loro devo anche la scelta della colonna sonora del film, composta e interpretata da Luis Mas, un 24enne fra i finalisti di Operacion Triunfo, che è già un successo.