giovedì 29 ottobre 2015
COMMENTA E CONDIVIDI

«È una vita che il mio nome è collegato a quello di Bob Dylan. Ora per la prima volta io in maniera conclamata e senza nascondermi lo confesso apertamente. Gli ho rubato anche il titolo». È un Francesco De Gregori rilassato e in vena di scherzare quello che ha presentato oggi a Milano il nuovo disco De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto (Caravan e Sony Music), che uscirà domani insieme alla riedizione del volume fotografico Francesco De Gregori. Guarda che sono io (Edizioni SVPRESS). Inoltre domani sera alle 21.10 De Gregori si racconterà a SkyArteHd. Poi dal 5 marzo il cantautore sarà in tour nei principali club e teatri italiani.Love and Theft infatti era un album «dove Dylan rendeva omaggio alle canzoni di altri che aveva amato e da cui aveva rubato» spiega De Gregori che più che "rubare" in questo nuovo album fa un prezioso lavoro di traduzione filologica, «che come tutte le traduzioni ha anche un valore divulgativo» ammette. Insomma, il Principe (come lo chiamano), fa un passo indietro e si mette al servizio del mito della sua gioventù, di quel Bob Dylan «che a me, ragazzino di 15 anni che suonava la chitarra e amava De André, i Beatles e i Rolling Stones, cambiò totalmente il modo di intendere la musica».

Inizia dalla curiosità di un adolescente che non conosceva l’inglese, il primo arduo sforzo di tradurre, vocabolario alla mano, i brani di quel tale Robert Allen Zimmerman folgorato dal poeta Dylan Thomas. "A me è sempre piaciuto anche fare le traduzioni dal latino all’italiano, è sempre una sfida» ricorda De Gregori.Quarantacinque anni dopo, con la maturità e la penna del grande cantautore, De Gregori riesce a tradurre il cuore ma anche la poesia di Dylan «con grande fedeltà, affrontando le difficoltà della metrica, ma evitando assolutamente di metterci del mio». Del suo De Gregori, invece, ce ne mette eccome di stile, riuscendo a rendere fruibili pur nella assoluta fedeltà, dieci brani non fra i più popolari del cantautore americano. Brani che però hanno sempre lo sguardo ben fisso su una umanità sofferente, fatta di uomini e donne sballottati dalla vita. Come la protagonista di Un angioletto come te, primo singolo dell’album che traduce Sweetheart like you del 1983.

«Ruba una mela e finirai in galera/ruba un palazzo e ti faranno re» sono le parole di Dylan che in bocca a De Gregori assumono il tono di una critica attualissima all’Italia di oggi. Ed anche se non è nelle intenzioni del cantautore romano, che sostiene di aver scelto i testi solo in base alla musicalità, questo album ha davvero un sapore di denuncia, perché viviamo in un Mondo politico (Political world, 1989)  dove «la pietà è scaraventata a mare» e «ogni banca è una cattedrale», un mondo che ha bisogno di Dignità (Dignity, 1994perché "l'uomo senz'anima, è un'anima in pena/in cerca di dignità" .Per non parlare poi di Via della povertà, rivisitazione della versione che De Gregori e De André fecero nel 1975 di Desolation row (1965), una litania folk che in undici minuti snocciola immagini poetiche, dolenti e taglienti di uomini che potresti trovare ovunque, in America come dietro l’angolo di casa.Della fase più spirituale di Dylan è presente Servire qualcuno (Gotta serve somebody 1979), brano composto dopo il suo avvicinamento al cristianesimo dove canta che occorre scegliere, «forse sarà il diavolo/forse sarà Dio/ma devi sempre servire qualcuno». Sull’argomento non vuole sbilanciarsi De Gregori, ma nonostante cerchi di spacciarsi per un asettico traduttore, non riesce a nascondere i dubbi e le domande comuni al menestrello di Duluth nella toccante malinconia di Non è buio ancora (Not dark yet, 1987). Per il quale, dice, «non ci vorrebbe un Premio Nobel alla letteratura, ma un Nobel alla canzone».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: