«Charles siete orribile, siete bianco come un formaggio». Dire che siano state le parole che hanno cambiato il corso dei rapporti fra potere e mass media, almeno in Europa, sarebbe troppo, ma non si colpirebbe lontano dal segno. A pronunciarle fu Yvonne Charlotte Anne Marie Vendroux, moglie del generale De Gaulle. È la sera del 13 giugno 1958. La coppia stava davanti alla televisione; da 12 giorni il generale era presidente del Consiglio e parlava alla nazione in un intervento televisivo registrato. Ma quel primo passaggio del grande leader sul piccolo schermo è un disastro, aggravato dal fatto che De Gaulle aveva cacciato il truccatore, perché «io sono il presidente, non un attore!». La conferma gli viene da Marcel Bleistein-Blanchet, il più grande pubblicitario francese dell’epoca, che convoca il giorno dopo per farsi dare un parere: «Signor De Gaulle, l’hanno massacrata. È stato ripreso di profilo con gli occhiali sul naso mentre leggeva un foglio di appunti. Forse credeva di parlare a tre milioni di francesi. Si sbagliava. Lei stava parlando a tre francesi moltiplicati per un milione di volte. Con la tv si entra nella casa delle persone e quando ci si chiama De Gaulle non si entra in questo modo». Una lezione di cui il generale fa tesoro: in poco tempo sarà capace di utilizzare la tv per consolidare il potere, per risolvere a suo favore la crisi d’Algeria, per imporre l’elezione diretta del capo dello Stato e diventare il primo presidente scelto dal popolo. Una parabola mediatica dai risvolti di grande attualità, raccontata con efficacia in
L’uomo dello schermo. De Gaulle e i media, da oggi in libreria per Il Mulino. L’autore è Riccardo Brizzi, ricercatore del Dipartimento di Politica, istituzioni e storia dell’Università di Bologna.
Brizzi, il positivo rapporto di De Gaulle con i mass media comincia però con l’occupazione tedesca della Francia.«De Gaulle entra nella storia il 18 giugno 1940, col famoso appello radiofonico lanciato dalla Gran Bretagna, che viene identificato come l’inizio della Resistenza francese. Era un semplice sottosegretario alla Difesa rifugiato a Londra quando Winston Churchill gli concede di parlare dai microfoni di Radio Londra. Da quel momento si accredita come leader delle forze armate della "Francia Libera" e i suoi interventi radiofonici sono una spina nel fianco dei tedeschi, che per lui coniano il soprannome di "generale microfono". La sua credibilità presso i francesi diventa così grande che tutti i governi che si susseguono a Parigi dopo il ’46 (quando De Gaulle abbandona la politica, da presidente del Consiglio, in aperta critica alla nuova costituzione perché non presidenzialista), fino al suo ritorno al vertice nel ’58, gli impediscono di utilizzare la radio».
Un ostracismo che farà pagare a caro prezzo.«In effetti da quel suo primo fallimentare intervento in tv del giugno 1958, De Gaulle instaura il monopolio assoluto del piccolo schermo. La prima volta che i francesi potranno vedere attraverso il tubo catodico gli avversari politici del presidente sarà per la prima campagna presidenziale, nel 1965».
Lei racconta che in quelle elezioni De Gaulle torna alla radio.«Non sopporta di scendere al livello dei contendenti e pensa di stravincere al primo turno. La sconfitta lo convince a tornare in tv per il ballottaggio. Però utilizza una nuova formula di intervento: l’intervista. Ne fa tre, in cui compare con un solo giornalista. Gli bastano per vincere».
Come impara a utilizzare il piccolo schermo?«Dopo quel primo fallimento del ’58 accetta i consigli di Bleustein-Blanchet, che aveva studiato negli Usa e assimilato le tecniche di comunicazione utilizzate oltreoceano. Accetta il truccatore personale al punto di assumere nel ’59 Charles Koubefferian, che trucca Jean-Paul Belmondo e Brigitte Bardot. Prende lezioni da Jean Younnel, direttore di una scuola di recitazione. Cura ogni particolare della scenografia. Elimina gli occhiali e, poiché ci vede poco, i tecnici mettono sulla telecamera una luce rossa più forte, così che possa guardare sempre in video».
Opta anche per precise forme di comunicazione?«Ne utilizza due: l’allocuzione e la conferenza stampa. Il primo metodo, quello del discorso solenne alla nazione, lo usa prima dei referendum, delle elezioni, nei momenti di crisi del Paese. Sono famosi gli interventi del gennaio 1960, quando i francesi d’Algeria scendono in piazza e alzano barricate per protestare contro il processo di indipendenza della colonia, e dell’aprile 1961, quando a protestare sono i generali con un vero e proprio colpo di Stato. In entrambi i casi (gli unici) De Gaulle va in tv con la divisa da generale, per sottolineare che è lui il capo delle forze armate. In questo modo riesce a tirare dalla sua parte la base dell’esercito e a risolvere a suo favore le situazioni. Con interventi di questo tipo supera il dualismo, insito nella Costituzione della Quinta Repubblica, fra capo del governo e presidente della Repubblica, a favore di quest’ultimo e impone l’evidenza dell’elezione diretta del presidente».
Quando usa il metodo della conferenza stampa?«Nei grandi annunci internazionali, come nel ’63 e nel ’67, quando pone il veto all’ingresso della Gran Bretagna nella Cee. Non si trattava però di vere e proprie conferenze stampa, ma di una sorta di affermazione scenografica della propria autorità davanti al mondo e al Paese».
I giornalisti non possono fare domande?«Praticamente no. Tutto è definito prima nel dettaglio. Nel Salone delle feste dell’Eliseo, lui si pone su un piedistallo. Alla sua destra e alla sua sinistra ci sono i ministri e i collaboratori, che si alzano e applaudono quando entra. Più in basso una grande platea con giornalisti e ambasciatori. Poiché non ha occhiali, utilizza una piantina con segnati, nell’ordine, i punti della sala da dove arrivano le domande concordate, per rivolgere il volto nella giusta direzione».
E per le domande impreviste?«Non risponde o replica con una battuta ironica, passando ad altro».