Una mano robotica simula il senso del tatto - Ansa / Pnas
Nella sua “orazion picciola” ai compagni d’avventura, l’Ulisse dantesco pronuncia alcune importanti parole: “Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza” (Inferno, XXVI, 118–120). Sono questi tra i versi più celebri della letteratura mondiale: parole che definiscono l’essenza dell’umanità, fatta di un’insopprimibile tensione al bene e alla verità. Cambiano i tempi, le strutture economiche, politiche e sociali, ma tale caratteristica dell’umano non può venir meno. Parafrasando questo famoso luogo della Divina Commedia, l’economista Marco Magnani ha intitolato il suo ultimo libro Fatti non foste a viver come robot (Utet, pp. 272, euro 15,00). Il sottotitolo, “Crescita, lavoro, sostenibilità: sopravvivere alla rivoluzione tecnologica”, riassume solo in parte i molteplici spunti offerti dal saggio.
Magnani parte da una considerazione: nel corso della storia tutte le innovazioni tecniche hanno prodotto aumenti di produttività, di crescita economica e alla fine anche di occupazione. Nel breve periodo, però, hanno disorientato le persone, i lavoratori. Si pensi, nell’Inghilterra del XIX secolo, al movimento operario del luddismo, che reagì violentemente all’introduzione delle macchine nell’industria, ritenute causa di disoccupazione e di bassi salari. Tuttavia – spiega Magnani – alla generazione successiva il saldo era positivo: insieme alla produzione, aumentava anche l’occupazione. Se la storia è maestra di vita, dovremmo stare tranquilli.
Ma la questione non è così semplice. L’autore pone infatti una domanda precisa: e se questa volta le cose andassero diversamente? C’è più di una ragione per credere che ciò sia possibile. Innanzituto perché non è certo che l’innovazione continui a generare crescita economica: oggi, infatti, sono in pericolo non solo la sostenibilità demografica, alimentare ed energetica, ma anche quella ecologico– ambientale, sociale e politico–istituzionale. Inoltre le nuove tecnologie stanno aprendo la strada a una crescita senza occupazione, perché il lavoro dell’uomo è in larga misura sostituito dalle macchine: la ricchezza complessiva aumenta, ma emergono enormi problemi di redistribuzione.
Che fare, dunque? Sappiamo che quando si discute di queste tematiche, le proposte sul campo sono molte e varie. C’è chi propugna la ricetta della decrescita (più o meno felice), chi quella di rottamare l’attuale sistema economico e produttivo, chi decanta le “magnifiche sorti e progressive” della blue economy, della sharing economy, dell’economia civile, dell’economia circolare. Per parte sua, Magnani non accetta l’idea di una rottamazione del sistema liberal– capitalista (anche perché, pur con tutti i suoi limiti e difetti, è quello che negli ultimi due secoli ha funzionato meglio di tutti gli altri), ma insiste su una logica dell’“aggiustamento”, capace di partire da quanto esiste per migliorarlo, eliminando limiti, sperequazioni e problematicità di varia natura. E soprattutto puntando su una “collaborazione intelligente” tra uomini e macchine: gli esseri umani devono essere messi nelle condizioni di utilizzare la tecnologia per aumentare la produttività, ma anche per lavorare meglio e migliorare la qualità della propria vita.
Fondamentale, in questa prospettiva, è il capitolo dell’istruzione. Probabilmente – spiega l’autore – molti dei lavori e delle professioni che saranno chiamati a svolgere in futuro i bambini oggi sui banchi delle elementari non esistono ancora, e neppure possono essere immaginati. Per questo la dimensione della formazione è chiamata a farsi carico di preparare le persone a tutti i possibili cambiamenti. E a questo processo la stessa tecnologia è chiamata a collaborare. La scuola è un campo in cui l’innovazione tecnologica può offrire l’opportunità di allargare l’accesso all’istruzione (si pensi alla didattica a distanza) e di migliorare l’insegnamento stesso (rendendolo più efficace attraverso l’utilizzo di quegli strumenti multimediali che i ragazzi frequentano anche per conto proprio). Ma il ruolo delle persone rimane centrale: “fatti non foste a viver come robot”.