È lui o non è lui? Padre Louis Marcello La Favia se lo chiese per la prima volta nel 1987, quando si imbatté in un manoscritto tardo-trecentesco della British Library nel quale figurava un’altrimenti trascurata
chanzona ddante. A metterlo sull’avviso fu quella doppia
d, che gli sembrò offrire la possibilità di un’attribuzione all’autore della
Commedia. Ottanta versi suddivisi in cinque strofe, con un’alternanza di settenari ed endecasillabi che, per La Favia, andava ricondotta allo sperimentalismo delle «rime petrose». Lo studioso diede notizia della scoperta durante una conferenza tenuta nel 1989 a Chicago, suscitando subito grande curiosità (si occupò del caso, con una corrispondenza dagli Usa, anche il giovane Gianni Riotta). La Favia stesso, però, invitava alla prudenza: occorrono altri riscontri, diceva, bisogna consultare gli esperti. Nato nel 1925 in provincia di Roma, sacerdote dei Missionari del Preziosissimo Sangue e dagli anni Sessanta docente alla Catholic University di Washington, padre Louis continuò a a raccogliere appunti e documentazione fino al 2000, anno in cui si manifestò la malattia che nel 2008 lo portò alla morte. Sulla base di questo materiale suo fratello, don Giuseppe Angelo La Favia, ha allestito l’interessante dossier ora pubblicato dal Centro Dantesco di Ravenna con il titolo
Chanzona ddante: «Circa un poema sconosciuto attribuito a Dante» (pagine 200, euro 20; per informazioni
www.centrodantesco.it).Non si tratta di un pronunciamento definitivo, come sottolinea in sede di postfazione il critico Aldo Onorati. Il quale, a sua volta, simpatizza fortemente per quello che, al netto di ogni altra considerazione, era il convincimento profondo di La Favia: sì, la
Chanzona è proprio di Dante. Le motivazioni addotte sono di natura diversa, in un intreccio tra filologia e analisi testuale che in alcuni passaggi resta purtroppo appena accennato. Il codice Harley 3459 – da cui la ricerca ha origine – non è l’unico testimone della poesia, che risulta presente in altri sette manoscritti: anonima in tre occorrenze, per quattro volte è presentata come opera di Bindo Bonichi, un rimatore senese il cui stile e la cui biografia sarebbero, secondo La Favia, incompatibili con il contenuto della
Chanzona. In parte lamento dall’esilio e in parte invettiva contro i compagni infidi, il testo si adatte invece benissimo alla situazione in cui Dante venne a trovarsi all’indomani della battaglia della Lastra, il disastroso scontro armato con cui, nel 1304, i Guelfi Bianchi cercarono di rientrare a Firenze. Emarginato anche all’interno della «parte bianca» per la sua scelta di non sostenere il colpo di mano, il poeta avrebbe riversato nella
Chanzona temi e intonazione della letteratura di ispirazione boeziana, molto diffusa in quel momento. La Favia, in particolare, indica a più riprese il modello dell’
Elegia di Arrigo da Settimello, che già sul finire del XII secolo aveva contribuito a diffondere lo spirito del
De consolatione philosophiae.L’asse portante del ragionamento di La Favia sta comunque nel carattere «extravagante» delle rime dantesche. Con l’unica eccezione della
Vita Nuova (e, si potrebbe aggiungere, dell’incompiuto
Convivio), l’Alighieri non volle mai riordinare i suoi versi in un libro organico e il fatto che la
Chanzona non sia presente in altre raccolte non costituisce, in sé, elemento dirimente. Più significativo, secondo lo studioso, è che il redattore del codice Harley abbia voluto accompagnare le prime due cantiche della
Commedia con altri testi utili alla comprensione del capolavoro. Un percorso che culminerebbe nella
Chanzona, collocata in chiusura del manoscritto e ricca di riferimenti ai temi che saranno poi sviluppati nel poema maggiore. Fin qui l’ipotesi seguita, sia pure con grande cautela, da La Favia, che tuttavia non esclude l’eventualità di un falso. In alternativa, si potrebbe immaginare che un ammiratore di Dante abbia voluto comporre una canzone ispirandosi alle vicende del poeta. Quel
ddante potrebbe essere letto come
de Dante, indicando così l’argomento e non l’autore del testo. Ma anche questa – si capisce – è solo un’illazione.