Gudrún Eva Mínervudóttir - Iperborea
La costellazione degli scrittori nordici tradotti dalla casa editrice Iperborea si arricchisce con l’arrivo dell’islandese Gudrún Eva Mínervudóttir, narratrice e poetessa quarantasettenne molto nota e premiata in patria che, invitata al festival “I Boreali”, in svolgimento in questi giorni al teatro Franco Parenti di Milano, domani alle 17,00 presenterà il suo romanzo Metodi per sopravvivere (pagine 168, euro 17,00). È una storia corale, che nasce dall’incontro casuale fra quattro persone che vivono in un villaggio alla periferia di Reykjavík: Hanna, sedicenne in crisi, Arni, un informatico cinquantenne minacciato da una malattia mortale, Borghildur, vedova di mezza età incapace di superare il suo lutto e infine Aron, un ragazzino abbandonato a se stesso di cui gli altri tre finiranno per occuparsi, trovando nella solidarietà una nuova ragione di vita. Un romanzo buonista, si potrebbe dire, ma l’assoluta mancanza di retorica, la genuinità della scrittura e lo scavo psicologico dei personaggi conquista il lettore e lo convince che si possa ancora sperare nel genere umano. « Penso che aiutarci l’un l’altro faccia parte della natura umana – dice Mínervudóttir –. Non vogliamo lasciare indietro o perdere nessuno. Il villaggio si prende cura dei suoi. A meno che, naturalmente, non siamo troppo spaventati o folli o deprivati noi stessi dell’indispensabile. Certo, siamo egoisti – ma parte del nostro egoismo consiste nel desiderio di assicurarci che il gregge rimanga intatto. E la tendenza a prenderci cura l’uno dell’altro rende il mondo più sicuro. Perché difendo questa prospettiva sulla vita? Perché la narrativa spesso si concentra sul contrario, facendoci credere che gli altri non contino e che essere umani sia in qualche modo disdicevole. Sì, il mondo è un luogo pericoloso. Le persone commettono crimini orrendi le une contro le altre, ma allo stesso tempo siamo essenzialmente buoni».
È un romanzo con quattro voci narranti, ogni personaggio ha una sua storia complessa e dolorosa da raccontare. In quale ordine si sono presentati alla sua immaginazione?
È un mistero che io stessa non ho ancora risolto del tutto. I personaggi sono venuti da me separatamente, al punto che avevo pensato a quattro racconti. La prima ad arrivare è stata Hanna, sotto forma di un ricordo che ha cominciato a scriversi da solo in frasi complete che si formavano nella mia mente – come un download – e non si placavano finchè non mi alzavo dal letto dopo mezzanotte e cominciavo a scrivere. Mi sono chiesta: perché scrivo la storia di una ragazza così normale, in circostanze così ordinarie? Sembra che non succeda quasi niente. Ma dato che la vita e l’arte mi hanno insegnato a sottomettermi completamente alla dea della letteratura, sono andata avanti. Arni ha preso forma nella mia mente dopo una passeggiata nel bosco vicino a casa mia. C’era una fitta nebbia, un uomo e un cane sono venuti verso di me sul sentiero, simili a ombre mistiche. L’ispirazione per Borghildur, che ha una locanda, mi è venuta dalla mia esperienza personale nella gestione degli affitti brevi su Airbnb e quella per Aron da una storia che avevo sentito e che riguardava un bambino del mio quartiere. Pensavo che i capitoli fossero storie diverse, finché non hanno cominciato a collegarsi. Sembrava che i personaggi avessero delle questioni in sospeso fra loro.
Icp
All’origine della sofferenza di tutti e quattro c’è la solitudine: è per cercare di superarla che ciascuno di loro adotta un suo metodo per sopravvivere?
Sì. Hanna cerca di sopravvivere negandosi il cibo, anche se sembra una contraddizione, forse ha un disperato bisogno di approvazione da parte della società e di attenzione da parte della madre. Alla fine, per combattere la noia, comincia a lavorare in un posto che vende hamburger e anche come baby sitter di Aron. Questo sembra sbalzarla fuori dalla sua malattia ossessiva e riportarla fra le braccia della collettività umana. Arni prende un cane per costringersi a fare passeggiate compiendo quell’attività fisica che secondo il suo medico potrebbe prolungargli la vita. Cerca sicurezza anche riponendo il suo amore in qualcuno che non lo ricambierà mai allo stesso modo. È un’altra contraddizione. Alla fine offrire il suo amore paterno ad Aron si dimostra più appagante di tutti gli altri stratagemmi. Borghildur non cerca di sopravvivere. Si è arresa al suo dolore e sta in un certo senso aspettando di morire. Però trova una tregua quando si impegna a fare ciò che va fatto, ripescare il ragazzino da un fosso e aiutarlo a riprendersi. Aron è il catalizzatore della loro crescita. Forse è lui il salvatore della storia. Loro lo aiutano, è vero, ma lui li aiuta di più.
Spaventata da un omicidio da lei scoperto, Hanna dice: «Non riuscirò più a dirmi convinta che il mondo fosse altrove e il nostro paese fosse esonerato dal vero orrore». Gli islandesi si minacciati dalla globalizzazione?
Non so se sia il risultato di essere una piccola nazione su un’isola, ma noi islandesi siamo sempre stati convinti di essere in qualche modo separati dal mondo, che il mondo sia altrove. Fino a pochi anni fa, i poliziotti in Islanda non avevano la pistola. Avevano un piccolo manganello alla cintura nel caso dovessero sedare una rissa o dare un colpo in testa a un ladro in fuga. Le notizie dal mondo ci arrivavano, ma non ne uscivano molte verso il mondo esterno. Eravamo segnati sulle carte geografiche o no? Quando avevo sedici anni e ho fatto un viaggio in California, le persone che mi chiedevano da dove venivo credevano che lavorassi nella grande catena di supermercati americana chiamata “Iceland”. Siamo entrati a far parte del mondo, con tutto il bene e il male che ne derivano. Temerlo è come temere il tempo stesso. O temere il processo di invecchiamento. In realtà non è mai possibile nascondersi in un rifugio lontano ed essere “al sicuro”. La vita è divina e pericolosa. Gli esseri umani sono angelici e bestiali. Dobbiamo prendere il bene insieme al male.
La sua partecipazione al festival “I Boreali”: quale contributo viene dall’Islanda e dai suoi artisti alla cultura del Grande Nord?
Come tutti gli altri cerchiamo di divertire noi stessi e gli altri e di capire che cos’è la vita raccontando storie. Devo ammettere che non so cosa sia il Grande Nord, non più di quanto un pesce sappia che cos’è l’acqua.